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Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
L'attualità dell'argomento è stata dimostrata dal Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana del settembre 1971, che si è concluso con l'introduzione di un correttivo al proporzionalismo interno: il quorum del 15 per cento per la rappresentanza a livello degli organi centrali del partito, e del 10 per cento per la rappresentanza a livello provinciale. Il tema merita di essere ripreso in sede di dottrina: e questo non solo perché l'argomento resta controverso, ma anche perché il problema investe altri partiti e, in particolare, il PSI. Il dibattito si colloca fra due tesi opposte: da un lato chi difende la rappresentanza proporzionale perché piú «democratica», dall'altro chi difende il sistema maggioritario perché piú funzionale. Senza contare la posizione di coloro che negano ogni rilevanza ai sistemi elettorali. Si tratta di un tema centrale della scienza politica contemporanea, e dunque di un tema particolarmente congeniale a questa Rivista, che apre le sue colonne a quanti vorranno partecipare a un dibattito che non vuol essere «partigiano» ma di «ingegneria strutturale».
1 Cfr. la vasta produzione di Maranini, G. e in particolare Miti e realtà della democrazia , Milano, Comunità, 1958, e La costituzione che dobbiamo salvare, ibidem, 1961.Google Scholar
2 Cfr. per esempio Rose, R., Parties, Factions and Tendencies in Britain , in «Political Studies», XII (1964).Google Scholar
3 Che le correnti italiane siano oggi essenzialmente clientelari è opinione largamente diffusa e suffragata da numerosi indizi: non solo, infatti, esse non sono riconducibili a variabili socio-economiche di base (cfr. Spreafico, A. — Cazzola, F., Correnti di partito e processi di identificazione , in «Il Politico», XXXV [1970], pp. 695–715), non solo sono longeve (cfr. Sartori, Proporzionalismo, frazionismo e crisi dei partiti, cit.), ma tendono a calare quando i propri leaders prendono posizioni di potere (si veda, ad esempio, la progressiva erosione della corrente dorotea; in proposito, cfr. Fait, G., Le correnti nella DC, 1963–1969, Tesi di laurea, Università di Padova, 1971).Google Scholar
4 Del resto, anche Sartori riconosce che le differenze tra correnti sono, in concreto, differenze di grado (Sartori, , op. cit. , p. 642). Le maggiori diversità sono probabilmente riscontrabili nelle fasi negative di insuccesso di una corrente; è infatti attendibile ipotizzare che le correnti ideologiche e le correnti clientelari reagiscano in maniera assai diversa alla perdita di potere, e che le prime si dimostrino più stabili delle seconde.Google Scholar
5 Sartori, G., op. cit. , pp. 641–646.Google Scholar
6 Per la distinzione tra teorie morfologiche e teorie genetiche, cfr. Friedrich, C. J., Man and His Government , New York, McGraw-Hill, 1963.Google Scholar
7 Sartori, G., op. cit. , p. 637.Google Scholar
8 Ibidem , p. 639.Google Scholar
9 La prospettiva echeggia gli sviluppi della organization theory ove si è progressivamente teso a sminuire gli elementi finalistici nel comportamento delle organizzazioni (cfr. l'affermazione che le organizzazioni «satisfice because they have not the wits to maximize» in Simon, H. A., Administrative Behavior , New York, Macmillan, 1957 2; tr. it., Il comportamento amministrativo, Bologna, Il Mulino, 1958) e a sottolinearne le motivazioni utilitaristiche (cfr. il criterio di classificazione cui bono proposto da Blau, P. M. e Scott, W. R. in Formal Organizations, San Francisco, Chandler, 1962, p. 42). Tuttavia, come si è reagito a questa impostazione nello studio delle organizzazioni in generale, così non si vede perché si dovrebbe accettarne la prospettiva nello studio di quelle particolari organizzazioni complesse che sono i partiti.Google Scholar
10 Cfr. per la particolare lucidità delle critiche, Thoenig, J. C. e Willig, J. C., L'analyse organisationnelle: démarche scientifique et phénomène culturel , in «Sociologie du Travail», VIII (1966), pp. 317–324.Google Scholar
11 Sartori, G., op. cit. , pp. 631 e 637.Google Scholar
12 Ibidem , p. 638.Google Scholar
13 Cfr. in proposito LaPalombara, J., Decline of Ideology: A Dissent and an Interpretation , in «American Political Science Review», LX (1966), e la letteratura sulla «fine delle ideologie» ivi citata alla nota 10.Google Scholar
14 I rapporti tra polarizzazione, frammentazione, e stabilità sono indubbiamente complessi. Per una verifica empirica condotta sui dati relativi a 196 governi cfr. Taylor, M. — Herman, V. M., Party Systems and Government Stability , in «American Political Science Review», LXV (1971), in Fisichella, D. (a cura di), Partiti e gruppi di pressione, Bologna, Il Mulino, 1972. Tutto il discorso in materia è, tuttavia, viziato dalla labilità del concetto di «stabilità», tuttora in attesa di una sua sistemazione e troppo spesso erroneamente identificato nella sola stabilità di «governo». Un'alta instabilità al livello di gabinetto può talora essere il miglior indice di una sostanziale stabilità di «regime», cioè sistemica.Google Scholar
15 Sartori, G., op. cit. , p. 652.Google Scholar
16 Circa la tendenza del nostro sistema, Sartori non ha dubbi ed afferma che questa è senz'altro centrifuga. A me sembra che alcuni dubbi siano legittimi: se dal livello elettorale (ove una moderata tendenza centrifuga verso sinistra mi sembra innegabile) passiamo al livello sostantivo della maggiore o minore accettazione del sistema da parte delle varie forze politiche, la tendenza operante nel nostro paese mi sembra senz'altro centripeta. Anche qui, il problema è ingenerato dall'indeterminatezza del concetto di «tendenza». Utilizzato nel contesto dei modelli di competizione spaziale tra partiti il concetto ha una portata del tutto diversa di quella che assume se utilizzato nel contesto di un esame della cultura politica o degli atteggiamenti delle élites di governo o di opposizione.Google Scholar
17 L'atteggiamento delle élites politiche italiane ha, a tutt'oggi, ricevuto solo scarsa attenzione. Tra i pochi studi disponibili, cfr. Di Renzo, G. J., Personality, Power and Politics , Notre Dame, Notre Dame University Press, 1967, tr. it., Personalità e potere politico: un'indagine sui parlamentari italiani, Bologna, Il Mulino, 1967; e il volume collettaneo L'attivista di partito, Bologna, Il Mulino, 1968. In materia di modelli di partecipazione politica, cfr. A. Pizzorno, Introduzione allo studio della partecipazione politica, in «Quaderni di Sociologia», XV (1966), nn. 3–4.Google Scholar
18 Cfr. Germino, D. e Passigli, S., The Government and Politics of Contemporary Italy , New York, Harper & Row, 1967, pp. 127–132.Google Scholar
19 Cfr. Galli, G., Il bipartitismo imperfetto , Bologna, Il Mulino, 1966.Google Scholar
20 Cfr. Lijphart, A., The Politics of Accommodation: Pluralism and Democracy in the Netherlands , Berkeley, University of California Press, 1968. Dello stesso cfr. anche Typologies of Democratic Systems, in «Comparative Political Studies», I (1968), pp. 3–44, nonché Consociational Democracy, in «World Politics», XXI (1969), pp. 207–225.Google Scholar
21 Cfr. Tarrow, S., Peasant Communism in Southern Italy , New Haven, Yale University Press, 1967.Google Scholar
22 Che la nostra cultura politica sia profondamente divisa e «frammentata», è opinione largamente condivisa. Cfr. in proposito LaPalombara, J., Interest Groups in Italian Politics , Princeton, Princeton University Press, 1964, tr. it., Clientela e parentela, Milano, Comunità, 1967, e Italy: Fragmentation, Isolation, and Alienation, in Pye, L. W. e Verba, S. (eds.), Political Culture and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1965; Sartori, G., European Political Parties: the Case of Polarized Pluralism, in LaPalombara, J. e Weiner, M. (eds.), Political Parties and Political Development, Princeton, Princeton University Press, 1966; Barnes, S. H., Oppositions on Left, Right, and Center , in Dahl, R. A. (ed.), Political Oppositions in Western Democracies, New Haven, Yale University Press, 1966; Germino, D. e Passigli, S., op. cit. CrossRefGoogle Scholar
23 È la logica del «not rocking the boat», del sentirsi «tutti sulla stessa barca».Google Scholar
24 La relazione tra forme diverse di conflitto sociale è al cuore degli interessi di numerosi studiosi. Tra i tanti, basti qui ricordare ai nostri fini R. Dahrendorf che in Class and Class Conflict in Industrial Society , London, Routledge and Kegan Paul, 1959, tr. it., Classi e conflitto di classe nella società industriale, Bari, Laterza, 1963, sottolinea come nella società industriale ad un conflitto di classe espressione di divisioni fondamentali si sia venuto progressivamente sostituendo un conflitto di interessi parcellizzato. Una lettura a ritroso della tesi di Dahrendorf suggerisce che la repressione di un conflitto parcellizzato può riproporre un aumento del conflitto di fondo. A questa conclusione è recentemente giunto, al livello di sistema partitico, Di Palma, G. (Conflitto e élites nella società industriali, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», I [1971], pp. 481–513), secondo il quale la proporzionale sarebbe necessaria al mantenimento di un sistema di conciliazione tra élites. Sistemi maggioritari potrebbero, invece, far esplodere l'equilibrio faticosamente raggiunto tra le élites in competizione e far aumentare il conflitto di fondo. La stessa tesi ci sembra proponibile anche se dal livello di un sistema di partili scendiamo al livello di un sistema di correnti.Google Scholar
25 Oltre al caso della DC, anche l'esperienza del PSI ci sembra significativa: la rinuncia al principio maggioritario è posteriore e non anteriore al formarsi di correnti, ma poi contribuisce all'ulteriore frazionarsi del partito in gruppi clientelari.Google Scholar
26 È l'amara diagnosi di La Malfa ricordata da Sartori, op. cit. , p. 652.Google Scholar
27 Già Sartori suggerendo una «applicazione differenziata dei sistemi elettorali» implicitamente ne propone l'abolizione per le elezioni locali e regionali; cfr., ibidem , pp. 634–636. Né manca chi tale tesi avanza piú apertamente (cfr. Fisichella, D., Conseguenze politiche della legge elettorale regionale in Italia, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», I [1971] pp. 145–157), considerando salutare un contenimento del principio proporzionalistico anche a livello nazionale (cfr. Fisichella, D., Sviluppo democratico e sistemi elettorali, Firenze, Sansoni, 1970).Google Scholar