Published online by Cambridge University Press: 17 July 2018
Dal 1994, la transizione italiana ha dato luogo a due interpretazioni. Con varie sfumature, alcuni hanno posto il cambiamento in un contesto di continuità: più o meno come sempre, elettori stabili e ideologizzati sarebbero stati «trainati», dentro e fuori dai principali schieramenti, da partiti precocemente riconsolidati dopo i traumi dei primi anni novanta; a questi partiti, e ai loro eredi, rimangono sostanzialmente affidate le sorti delle coalizioni, incentivate dal sistema elettorale, ma cronicamente fragili perché troppo frammentate e/o eterogenee; dato il fenomeno delle «estreme vincenti», robuste controspinte centrifughe bilanciano la pur riconosciuta tendenza alla convergenza sull'elettorato mediano, rendendo assai problematico il requisito fondamentale dell'equilibrio bipolare; più che sull'asse sinistra/destra, l'equilibrio è minacciato dalla vitalità del cleavage centro-periferia, così brillantemente mobilitato dalla Lega nel 1996 per formare una credibile alternativa ai maggiori schieramenti; e poiché la probabilità di successo dell'alternativa è massimizzata dal maggioritario, la prognosi è per un sistema cronicamente instabile, piuttosto esposto a ritornare al passato (cioè, a un assetto «tripolare polarizzato»), che a entrare a pieno titolo fra i pluralismi moderati d'Europa.
The article provides a systematic assessment of the Italian transition through the results of its three national elections. The analysis ranges from 1994 to 2001 and covers a wide variety of topics. In particular, the residual polarization assumed by the previous literature is found theoretically flawed and empirically disproved. The more recent center-periphery cleavage has evaporated with the demise of the Northern League. The electorate, especially the centrist one, results strongly mobile both on national and cross-national records. Far from being «winning», the political extremes are found stable or losing; parties of the center, in turn, are declining at a faster pace than in comparable democracies, and their numbers are by 2001 among the smallest, whereas they were the strongest ten years ago. As a consequence, the Italian case shows the whole set of the standard conditions for bipolar, centripetal competition, though two problems remain: fragmentation, which might be cured with the electoral reform, but is not the main, nor the most deviant feature, of the present system; and a deep destructuration crisis, whose indicators distinguish more sharply the Italian parties from their European counterparts, and whose effects might be felt for long and significantly depress the systemic performance of the main political actors.