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Published online by Cambridge University Press: 14 June 2016
I nuovi equilibri internazionali i cui riflessi si avvertono negli atteggiamenti dei leaders europei, combinati alle pressanti scadenze comunitarie, vanno aumentando la sensazione che, entro un tempo relativamente breve, il processo di unificazione europea si troverà di fronte ad un bivio consistente o in un salto di qualità o in una stagnazione prolungata. Frattanto, in altre parti del mondo — in Asia, in Africa, in America Latina — un numero crescente di stati cerca di reagire al sottosviluppo economico avviando processi di integrazione regionale che, in prospettiva, nelle intenzioni dei governi, dovrebbero rappresentare una risposta, sia pure piú cauta e realistica degli utopistici disegni panarabisti e panafricani che alimentarono gli entusiasmi post-coloniali, ai problemi imposti dalla frantumazione politica, dalla debolezza economica, dai rapporti con le società industrializzate. La convinzione che la politica internazionale degli anni futuri, a seguito di questi sviluppi, verrà sempre piú a dipendere da rapporti fra « unità » transnazionali piú o meno integrate, ha spostato l’interesse di un numero crescente di cultori di relazioni internazionali verso i problemi dell’integrazione politica alla ricerca di teorie a medio o a largo raggio che permettano di prevedere e, almeno in una certa misura, guidare gli sviluppi che sembrano intravedersi al di là degli stati nazionali.
1. Fra gli studi piú recenti sul tema generale e sull'unificazione politica europea in particolare segnaliamo i seguenti volumi: Brenner, M., Technocratic Politics and the Functionalist Theory of European Integration, Ithaca, Cornell University Press, 1969, pp. 164, $ 3.00; Deutsch, K.W., Political Community at the International Level. Problems of Definition and Measurement, Hamden, Anchor Books, 1970, pp. 70, $ 4.00; Beck, R. H. et al., The Changing Structure of Europe. Economic, Social and Political Trends, Minneapolis, Minnesota University Press, 1970, pp. 286, $ 9.50; Cobb, R. W. e Elder, C., International Community. A Regional and Global Study, New York, Holt, Rinehart and Winston Inc., 1970, pp. 160, s.p.; Combes, D., Politics and Bureaucracy in the European Community, London, George Allen and Unwin, 1970, pp. 343, $ 3.00; Lindberg, N. e Scheingold, S. A., Europe's Would-Be Polity. Patterns of Change in the European Community, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1970, pp. 314, 45 s.; Nye, J. N., Peace in Parts. Integration and Conflict in Regional Organizations, Boston, Little Brown and Co., 1971, pp. 199, s.p.; Tharp, P. A., (ed.), Regional International Organizations. Structures and Functions, New York, St. Martin's Press, 1971, pp. 276, s.p.Google Scholar
2. Cosí, K. W. Deutsch in Introduction , in Deutsch, K. W. et al., Political Community and the North Atlantic Area, Princeton, Princeton University Press, 1957, p.l. Nye, Anche J. in Peace in Parts. Integration and Conflict in Regional Organization, cit., pone alla base della sua ricerca l'ipotesi che l'integrazione regionale possa contribuire a stabilizzare la politica internazionale diminuendo le probabilità di conflitto armato o, quantomeno, a creare « sacche di pace » in varie parti del mondo. Al fine di verificare tale ipotesi l'autore distingue fra due tipi di organizzazioni regionali, quelle politiche (a fini generali), scarsamente o affatto integrate, come l'Organizzazione per l'Unità Africana (OUA), la Lega Araba o l'Organizzazione degli Stati Americani (OAS) e le organizzazioni economiche come la CEE, il mercato comune dell'Africa Orientale e quello dell'America centrale. L'autore nota che le organizzazioni del primo tipo sono riuscite ad impedire il conflitto fra gli stati-membri nel 74% dei casi considerati, a farlo cessare nel 44% e ad imporre una soluzione definitiva delle vertenze nel 32% dei casi. Ma il successo dell'organizzazione nella risoluzione dei conflitti è sempre stato confinato ai casi in cui il grado di reciproca ostilità (calcolato in base a precisi indicatori) era basso. In caso contrario, le organizzazioni di questo tipo si sono largamente dimostrate incapaci di imporre una soluzione concordata. Maggiore successo, invece, ha riscontrato il Nye, hanno ottenuto le organizzazioni regionali del secondo tipo nella composizione « pacifica » dei conflitti. Ad eccezione della breve guerra fra San Salvador e Honduras nel 1969 (stati entrambi facenti parte dell'Organizzazione degli Stati Centro-Americani), le organizzazioni che perseguono l'integrazione economica si sono dimostrate capaci di ridurre fortemente le possibilità di conflitto fra i paesi membri.Google Scholar
3. Nye, J., Comparative Regional Integration: Concept and Measurement , in « International Organization », (autumn 1968), pp. 855–880.CrossRefGoogle Scholar
4. Balassa, B., The Theory of Economic Integration, Homewood Ill. Richard D. Irwin, 1961, p. 1.Google Scholar
5. L'esempio ha, evidentemente, il solo scopo di dimostrare l'interdipendenza esistente fra i vari tipi di integrazione ma non intende suffragare le ipotesi che vedono nella integrazione economica il presupposto dell'integrazione politica. Si vedano a questo proposito le critiche al funzionalismo esposte piú innanzi.Google Scholar
6. Haas, E. B., The Uniting of Europe: Political, Social and Economic Forces, 1950-1957, Stanford, Stanford University Press, 1958, p. 16.Google Scholar
7. Secondo la nota definizione di Easton, D., A Systems Analysis of Political Life, New York, Wiley, 1965.Google Scholar
8. Etzioni, A., Political Unification, New York, Holt, Rinehart and Winston, Inc., 1965, tr. it., Unificazione politica, Milano, Etas Kompass, 1969, p. 61.Google Scholar
9. Ibidem. Google Scholar
10. Deutsch, K. W. et al., Political Community and the North Atlantic Area, cit., p. 5.Google Scholar
11. Che l'esistenza di una « comunità di sicurezza » non implichi necessariamente l'avvio di un processo di integrazione politica è assunto di facile verifica. Il Canada e gli Stati Uniti, ad esempio, formano insieme una comunità di sicurezza cosí come è intesa da Deutsch ma, ciononostante, nessun processo di integrazione ha preso il via fra i due paesi. I paesi scandinavi facenti parte del Consiglio Nordico e il Benelux sono altrettanti esempi di « comunità di sicurezza » ove è inoltre in corso una fattiva collaborazione in sede economica ma ove, al tempo stesso, non ha preso l'avvio alcun processo di integrazione politica.Google Scholar
12. Etzioni, A., Unificazione politica, cit., pp. 30–57.Google Scholar
13. Ibidem, pp. 105–144.Google Scholar
14. Sulla distinzione fra unificazione « per conquista », per « fusione » e per « irradiamento » si veda Pasquino, G., Modernizzazione e sviluppo politico, Bologna, il Mulino, 1970, pp. 37–38.Google Scholar
15. Haas, E. B., Beyond the Nation-State. Functionalism and International Organization, Stanford, Stanford University Press, 1964, p. 13.Google Scholar
16. Nye, J., Comparative Regional Integration: Concept and Measurement, cit., p. 859.Google Scholar
17. Ibidem, p. 859. Un'interessante ricerca che pone in luce i limiti degli assunti del funzionalismo è svolta da M. J. Brenner in Technocratic Politics and the Functionalist Theory of European Integration, cit. L'autore assume come ipotesi di partenza l'affermazione dei funzionalisti, secondo cui l'integrazione in sede economica è imposta e portata innanzi dai « tecnocrati » senza che le decisioni relative vengano in qualche modo influenzate dalle scelte dei politici. L'analisi di due casi, la richiesta della Gran Bretagna di entrare nella CEE nel 1961 e il successivo veto francese, secondo il Brenner, sta a dimostrare come tale assunto di derivazione funzionalista sia errato. In entrambi i casi, infatti, le decisioni relative vennero prese dai politici e subordinate a considerazioni di carattere « politico » e non « tecnico ».Google Scholar
18. Haas, E. B., International Integration: The European and the Universal Process , in AA.VV., International Political Communities. An Anthology, Garden City, Anchor Books, Doubleday, 1966, p. 101.Google Scholar
19. Ibidem, p. 102.Google Scholar
20. Deutsch, K. W. et al., Political Community and the North Atlantic Area, cit., p. 82.Google Scholar
21. Ibidem, p. 82.Google Scholar
22. Etzioni, A., Unificazione politica, cit., p. 58.Google Scholar
23. Haas, E. B., International Integration: The European and the Universal Process, cit., p. 105.Google Scholar
24. Ibidem, p. 106.Google Scholar
25. Lindberg, L. N., Decision-making and Integration in the European Community , in International Political Communities. An Anthology, cit., p. 202.Google Scholar
26. Almond, G. A. e Coleman, J. S., (eds.) The Politics of the Developing Areas, Princeton, Princeton University Press, 1960.Google Scholar
27. Lindberg, L. N., Decision-making and Integration in the European Community, cit., p. 202. Un'altra interessante utilizzazione di alcune delle categorie elaborate da Almond nello studio dei processi di integrazione sovranazionale è offerta dai collaboratori al volume di Tharp, P. A. Jr. (ed.), Regional International Organizations. Structures and Functions, cit. In particolare, gli autori sviluppano una analisi comparata di un certo numero di processi di integrazione utilizzando tre delle quattro funzioni di input individuate da Almond (articolazione degli interessi, aggregazione degli interessi, socializzazione) e due di output (formazione delle norme, amministrazione giudiziale delle norme).Google Scholar
28. Deutsch, K. W. et al., Political Community and the North Atlantic Area, cit., p. 46.Google Scholar
29. Deutsch, K. W., Communication Theory and Political Integration , in Jacob, P. E. e Toscano, J., (eds.), The Integration of Political Communities, Philadelphia e New York, J. B. Lippincott Co., 1964, p. 55.Google Scholar
30. Bisogna inoltre rilevare come il tipo e le caratteristiche delle forze transnazionali che si formano influenzi e condizioni largamente i susseguenti sviluppi. Nel caso europeo, ad esempio, la tendenza, soltanto oggi parzialmente modificatasi e in misura diversa, dei due maggiori partiti comunisti, quello italiano e quello francese, ad avversare il processo di costruzione europea può avere contribuito a rendere piú difficile, all'interno della CEE, la pressione di gruppi di interesse collegati alle forze del lavoro, nella formazione delle politiche comunitarie. Va inoltre notato che anche i partiti socialisti europei, pur essendo tutti favorevoli al processo di integrazione, hanno fin qui dimostrato sotto questo profilo scarso impegno « comunitario ». Si veda, a questo proposito, Vredeling, H., The Common Market of Political Parties , in « Government and Opposition », VI (1971), pp. 448–461.CrossRefGoogle Scholar
31. Deutsch, K. W. et al., Political Community and the North Atlantic Area, cit., p. 201.Google Scholar
32. Ibidem. Google Scholar
33. Ibidem, p. 40.Google Scholar
34. Ibidem, p. 42.Google Scholar
35. Oltre al già citato Political Community and the North Atlantic Area, si veda anche Deutsch, K. W., Political Community at the International Level. Problems of Definition and Measurement, Garden City, Doubleday, 1954, seconda edizione; Hamden, Anchor Books, 1970 che rappresenta il primo tentativo dell'autore di applicare ai problemi dell'integrazione sovranazionale la teoria delle comunicazioni e di elaborare, al tempo stesso, gli strumenti necessari alla misurazione del processo. Un identico approccio allo studio della integrazione politica è presentato da Deutsch anche in The Analysis of International Relations, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1968, tr. it., Le relazioni internazionali, Bologna, Il Mulino, 1970, pp. 277-308. Alla stessa impostazione di Deutsch, con specifico riguardo alla integrazione europea, aderisce anche Russett, B. M., Trends in World Politics, New York, Macmillan, 1965.Google Scholar
36. Fischer, W. E., An Analysis of the Deutsch Sociocausal Paradigm of Political Integration , in « International Organization », (Spring 1969), p. 259.Google Scholar
37. Ibidem, p. 259.Google Scholar
38. Il modello di Deutsch è parzialmente utilizzato anche da Cobb, R. W. e Elder, C., International Community. A Regional and Global Study, cit. In particolare, il modello adottato dagli autori si basa sull'assunto che il livello delle transazioni dipende direttamente dalle condizioni ambientali (background factors) e, a sua volta, condiziona il grado di « rilevanza reciproca del comportamento » (mutual behavioral relevance) fra i membri dei sistemi interagenti. Un grado elevato di rilevanza reciproca provocherà un aumento e una intensificazione della collaborazione governativa e quest'ultima retroagirà (processo di feedback) sia aumentando il livello dei flussi di scambio che accentuando il grado di « reciproca rilevanza », sia, in alcuni casi, modificando le stesse condizioni ambientali.Google Scholar
39. Hoffmann, S., Obstinate or Obsolete? The Fate of the Nation-State and the Case of Western Europe , in Nye, J. (ed.), International Regionalism, Boston, Little, Brown and Co., 1968, p. 183.Google Scholar
40. Tale ipotesi sembra confermata dal fatto che i maggiori passi sulla strada dell'integrazione vennero compiuti in Europa proprio in presenza di crisi acute: la crisi che intervenne nel gennaio del 1963 a seguito del veto di De Gaulle all'ingresso della Gran Bretagna nella CEE, ad esempio, fu lo stimolo piú immediato per il varo, nel dicembre di quel medesimo anno, di una politica agricola comune fra i sei paesi della Comunità, dopo che profonde divergenze avevano impedito per lungo tempo la formazione di un accordo. Cfr. Etzioni, A., Unificazione politica, cit., p. 254. Si veda anche, a questo proposito, Deutsch, H. C., The Western Crisis of the Sixties , in Beck, R. H., Deutsch, H. C. et al., The Changing Structure of Europe. Economic, Social and Political Trends, cit.Google Scholar
41. Sui rapporti fra la CEE e il sistema internazionale nel suo complesso si veda Kaiser, K., The EEC in the Atlantic System: the Problem of Theory , in « Journal of Common Market Studies », (June 1967), pp. 388–425. In particolare l'autore mette in luce i drastici cambiamenti intervenuti nei rapporti fra l'Europa e gli Stati Uniti che da élite « esterna » nelle iniziali fasi del processo integrativo si va sempre piú trasformando in antagonista sia a causa dei problemi tuttora irrisolti relativi ai costi della difesa del continente sia soprattutto a causa della sempre maggiore competizione che si va manifestando fra le due sponde in sede economica.CrossRefGoogle Scholar
42. Beck, R. H., Deutsch, H., Raup, P., Rose, A. e Turnbull in, J. The Changing Structure of Europe, cit., analizzano sotto il profilo storico, sociologico ed economico i vari aspetti della politica comunitaria, dalla situazione agricola a quella industriale, dal livello di armonizzazione nel settore dell'istruzione a quello della « assimilazione » fra la popolazione della CEE in termini di valori e di aspettative comuni. La loro conclusione è che, visti gli enormi progressi in tutti i settori considerati, ben difficilmente il progresso di integrazione politica potrà venire arrestato. Conclusione questa, a mio avviso, per lo meno discutibile ma comunque inevitabile nella prospettiva degli autori che, prendendo in considerazione soltanto le variabili di tipo socio-economico, si precludono la possibilità di individuare tutti i possibili ostacoli che potrebbero sorgere nella sfera politica, indipendentemente dal livello di integrazione economica e sociale raggiunto.Google Scholar
43. Hoffmann, S., Obstinate or Obsolete? The Fate of the Nation-State and the Case of Western Europe, cit., p. 200.Google Scholar
44. Come ha notato Coombes, D. in Politics and Bureaucracy in the European Community, cit. l'approccio gradualista fin qui adottato nella costruzione della Europa ha consentito alle élites nazionali di posporre tale problema, senza però permettere in alcun modo di risolverlo. Se e quando, nota giustamente l'autore, si porrà seriamente il problema della unificazione politica, la « sovranità nazionale » si delineerà ancora piú nettamente come il nodo cruciale da sciogliere. In questa ricerca l'autore nota come nel periodo fin qui trascorso la burocrazia comunitaria abbia aumentato costantemente i propri poteri senza però avere ancora raggiunto il punto in cui il conflitto di competenze fra burocrazie nazionali e burocrazia sovranazionale determina una tensione insostenibile. Allo stesso tempo, sottolinea il Coombes, il carattere burocratico e tecnocratico della Commissione della CEE, se è l'elemento che ha permesso l'aumento costante dei suoi poteri nel passato, può rappresentare anche il piú grosso ostacolo per la costituzione di una leadership politica sovranazionale.Google Scholar
45. Hoffmann, S., Obstinate or Obsolete? The Fate of the Nation-State and the Case of Western Europe, cit., p. 210.Google Scholar
46. Etzioni, A., Unificazione politica, cit., p. 275 e ss.Google Scholar
47. È questa sostanzialmente la tesi contenuta nell'articolo di Steed, M., The European Parliament: the Significance of Direct Election , in « Government and Opposition », VI (1971), pp. 462–476.CrossRefGoogle Scholar
48. Lindberg, L. N., Decision-making and Integration in the European Community, cit., p. 215.Google Scholar
49. Ibidem, p. 215.Google Scholar
50. Della stessa opinione è anche Meynaud, J. in Technocratie et politique, Lausanne, Etudes de Science Politique, 1960, tr. it., Tecnocrazia e politica, San Casciano, Cappelli, 1965, p. 64 e ss.Google Scholar
51. Hoffmann, S., Obstinate or Obsolete? The Fate of the Nation-State and the Case of Western Europe, cit., 204.Google Scholar
52. Le difficoltà che il superamento dello stato-nazione può incontrare in Europa sono ben delineate da Lindberg, L. N. e Scheingold, S. A. in Europe's Would-Be Polity. Patterns of Change in the European Community, cit. Tali difficoltà si compendiano innanzitutto nel tipo di sostegno fin qui concesso dalla maggioranza dei gruppi sociali europei alle istituzioni comunitarie, sostegno di tipo « permissivo » o apatico: il che sta a significare che mentre la « legittimità » delle istituzioni europee non è messa in discussione dalla maggioranza della popolazione è però assente, in modo pressoché totale, un processo di « mobilitazione politica » a favore dell'Europa. Accanto alla consapevolezza dei vantaggi che l'Europa può procurare non coesiste alcun legame di tipo « emozionale » fra i cittadini e le istituzioni comunitarie. Una seconda ed essenziale difficoltà è rappresentata dalla scarsa adesione (anche di tipo permissivo) delle classi lavoratrici dei paesi della CEE alla « causa europea », causa che, come notano giustamente gli autori, è espressione, essenzialmente, delle aspirazioni e degli ideali della classe media. Le possibilità di riuscita del processo integrativo dunque, essi concludono, dipenderanno sia dalla capacità delle istituzioni comunitarie di mobilitare politicamente i gruppi sociali in favore dell'Europa sia dal verificarsi o meno dell'estensione delle aspirazioni e dei comportamenti della classe media ai lavoratori europei.Google Scholar