No CrossRef data available.
Published online by Cambridge University Press: 06 April 2017
This essay analyses the evolution of the Holocaust film genre in Italy through the paradigm of sacrifice, understood both as a process of martyrisation and Christianisation of the Holocaust, and from the point of view of the instrumental use of the figure of the national hero. Using the examples of the opening sequence of the deicide and the metaphorical crucifixion of Matteo Blumenthal at the end of L’ebreo errante (The Wandering Jew, Goffredo Alessandrini, 1948); the sacrifice of Giulia in L’oro di Roma (The Gold of Rome, Carlo Lizzani, 1961), who follows her Jewish nature faced with the round-up of 16 October 1943 – the same fate suffered by Edith, the Parisian Jew in Kapò (Gillo Pontecorvo, 1959); and the self-inflicted death of Guido, the narrative device used to justify the survival of the son in La vita è bella (Life Is Beautiful, Roberto Benigni, 1997), this contribution will focus on the definition of the Christianised topos of sacrifice, connected to the conception and general use of the term ‘Holocaust’. The overall thesis, running through the analysis of these four films, is that the paradigm has contributed significantly to the creation of a context of conflicting memories, influencing therefore the formation of the religious, cultural, political or national identities that have been involved historically in the public and private memory of the Holocaust.
Il presente saggio analizzerà l’evoluzione del genere degli Holocaust Film italiani sotto la lente d’ingrandimento del paradigma del sacrificio, sia inteso come processo di martirologio e cristianizzazione della Shoah, sia dal punto di vista dell’utilizzo strumentale della figura dell’eroe nazionale. Dalla messa in scena del deicidio introduttivo alla metaforica crocefissione finale di Matteo Blumenthal ne L’ebreo errante (Goffredo Alessandrini, 1948), passando per il sacrificio di Giulia, che segue la sua natura di ebrea di fronte alla razzia del 16 ottobre 1943 ne L’oro di Roma, (Carlo Lizzani, 1961) – così come accade a Edith, ebrea parigina in Kapò (Gillo Pontecorvo, 1959) – fino ad arrivare alla morte auto-indotta di Guido, espediente narrativo per giustificare la sopravvivenza del figlio ne La vita è bella ( R. Benigni, 1997), il contributo si soffermerà sulla definizione cinematografica di questo tòpos cristianizzato del sacrificio, connesso alla stessa concezione e all’utilizzo generalizzato del termine ‘Olocausto’. La tesi generale, che attraversa l’analisi di questi quattro film, è che questo paradigma abbia fortemente contribuito alla creazione di un contesto di memorie conflittuali, influendo, di conseguenza, nella formazione di quelle identità, religiose, culturali, politiche o nazionali, che hanno avuto storicamente a che fare con le memorie pubbliche e private della Shoah.