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Dramatic Theories in the Prologues to the Commedie Erudite of the Sixteenth Century

Published online by Cambridge University Press:  02 December 2020

Emilio Goggio*
Affiliation:
University of Toronto

Extract

Many Italian dramatists of the sixteenth century were thoroughly convinced that ancient playwrights had attained the highest degree of excellence and felt, therefore, that the only thing remaining to do was to imitate their works and endeavor to come as near as possible to their perfection. Others, notwithstanding their equally sincere and profound admiration for the classics, either suggested or introduced into their plays certain innovations which they deemed necessary in the light of the new social order. When doing so, however, they sometimes used a great deal of caution and prudence, so as not to be too severely criticized by those who would not tolerate any departure from classical traditions.

Type
Research Article
Copyright
Copyright © Modern Language Association of America, 1943

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References

1 (a) “La più parte,” says the Prologue of Ariosto's La Cassarla, “solo stima quel che gli antigui han detto esser perfetto.” S. Tortoli, Commedie e Satire dei Lodovico Ariosto (Firenze: Barbera, Bianchi e Comp., 1856), p. 433.

(b) Ercole Bentivoglio, in his Prologue to / Fantasmi (Vinezia: Giolito de' Ferrari, 1545), writes:

… io dirò sempremai
Ch'i nostri antigui fur tanto ingegnosi
In ogni studio loro, e tanto bene
Seppero dire e far, che noi moderni
Non sappiam dir nè far perfettamente
Alcuna cosa, se dietro ai famosi
Vestigi lor non ci sforziam di gire.

2 M. Catalano, Ludovico Ariosto. Le Commedie (Bologna:Nicola Zanichelli, 1933), i, 86.

3 M. Catalano, op. cit.

4 Ibid., p. 189.

… Io che so quel che detto mi
Ha il mio maestro, che fra le poetiche
Invenzïon, la comedia non è la più difficile,
E che i poeti antiqui ne facevano
Poche di nuove, ma le traducevano
Da i Greci, e non nè fe'alcuna Terenzio
Che trovasse egli; e nessuna o pochissime
Plauto, di queste ch'oggidì si leggono;
Non posso non maravigliarmi e ridere
Di questi nostri, che quel che non fecero
Gli antiqui loro, che molto più seppono
Di noi in questa e ogni altra scienzia,
Essi ardiscan di far. Tuttavia, essendoci
Già ragunati qui, stiamo un po' taciti
A riguardarli. Non ci può materia,
Ogni modo, mancar oggi da ridere,
Che, se non rideremo de l'arguzia
De la comedia, ahnen de l'arroganzia
Del suo compositor potremo ridere!

5 “Sempre questo Autor de gli Incantesimi ha contratta con lui (Plauto) certa amicizia si stretta, che e'non dà mai fuor Comedia, che e'non gli dia qualcosa.” Prologue to Gli Incantesimi in Commedie di M. Gianmaria Cecchi (Veneria: Bernardo Giunti, 1585), Libro Primo.

6 “Plauto, amico tanto caro e tanto intrinseco di quei che son tenuti migliori comici, dà loro si stesso in corpo e in anima per arricchirli tutti.” Prologue to Il Martello in Commedie di Giovanmaria Cecchi, per cura di Gaetano Milanesi (Firenze: Le Monnier, 1856), vol. ii.

7 “Questa commedia,” says the Prologue, “è parente alla Fenicia di Plauto, e di questo parentado più si gloria, che d'esser di casa di Moneada.” Delle Commedie di Giovanbattista De La Porta (Napoli: Gennaro Muzio, 1726), vol. ii.

8 Prologue to I Duoi Fratelli Rivali in V. Stampanato, Le Commedie di Giambattista Della Porta (Bari: Laterza, 1910), vol. i.

9 F. D'Ambra, I Bernardi, in I. Sanesi, Commedie del Cinquecento (Bari: Laterza, 1912), vol. ii.

10 (a) “Se bene il caso, di che hoggi la comedia tratta, è vario, e nuovo, può molto bene stare, che in fra tante persone qua convenute, alcune ne sieno, a chi hora questa parte, e hora quell'altra, a quello, e a quell'altro caso già in altre comedie rappresentate parrà simile, e da questo mossi habbino a dire che l'autore si sia di quel d'altri servito. Ma dir si può con Terentio: ‘Nullum est iam dictum, quod dictum non sit prius.‘ Et in tanti e diversi casi, che ogn'hora occorrono, forza è, che molti, massime in diversi tempi l'uno all'altro simili si riscontrino.” Comedia Intitolata Sine Nomine (Fiorenza: Giunti, 1574).

(b) “Se egli vi parrà di haverla letta altre volte, non ce lo recate a biasimo: perciochè non si può non pur dire, ma neanco fare cosa alcuna, che non sia stata detta e fatta per adietro.” L. Dolce, Il Ruffiano in Comedie di L. Dolce (Vinezia: G. De' Ferrari, 1560).

(c) “Voi havrete a vedere una comedia tutta nuova; e per esser nuova, l'autore pensa di doverne meritar poca laude … perchè sa e conosce, che le cose de moderni non si accostano alla perfettion di quelle de gli antichi: li quali si come furono i primi a occupar la possessione del bello: così quella hanno saputo ritener tanto bene, che niuna cosa si può dire, che da loro non sia stata detta prima.” L. Dolce, La Fabritia in Comedie di L. Dolce.

11 G. Cecchi, Gli Incantesimi, op. cit.

12 “Altra cosa è rubare con modo, con destrezza e con galanteria e l'altra è l'esser ladro publico.” P. Buonfanti, Errori Incogniti (Firenze: G. Marescotti, 1586).

13 L. Dolce, Il Ruffiano, op. cit.

14 F. Loredano, Lo Incendio (Vinezia: Libreria della Speranza, 1597).

15 “The point generally overlooked, yet well argued by some Italians like Agresti,” says R. W. Bond, “is the striking assimilation of the life and feeling of Renaissance Italy to those of classical times, of ancient Rome, or of Greece in the days of the Diadochi of the New Comedy, in fact, from 338 b.c. onwards for that, rather than the life of Rome, is what Plautus and still more Terence reproduced. Much that the modern student regards as merely imitated—the gross immorality, the dangers of travel, the piracy and raiding of the Mediterranean coasts, the sack of cities, the political vicissitudes, the separation of classes into military and political adventures, sober burgher tradesmen, and clever, unscrupulous servants—is a mere reflection of actual modern conditions in an age when Italy was harassed by foreign invaders and perpetual intestine war, when her seaboard was constantly threatened by the Moors and Turks, when the prelates, nobles, and princes cultivated in practice a pagan temper and endeavored to be more Greek and Roman than the ancients themselves.—Introductory Essay to R. W. Bond's Early Plays from the Italian (Oxford: Clarendon Press, 1911).

16 Lasca, Le Gelosia, in Commedie di A. Grazzini (Firenze: le Monnier, 1859).

17 The same opinion is expressed by others: L. Grotto, in La Alleria (Venetia: Fratelli Zoppini, 1587); L. Dolce, in Il Marito, and La Fabrilia (Comedie di L. Dolce, op. cit.); A. Caro, in Gli Straccioni (Venetia: Aldo, 1589); A. Ricchi, in I Tre Tiranni, in I. Sanesi, op. cit.; F. Belo, in Il Pedante, I. Sanesi, op. cit., vol. i; P. Cagli, in Ingiusti Sdegni (Venetia: Domenico Imberti, 1616); and F. D'Ambra, in I Bernardi, op. cit.

18 It should be noted here that in spite of this assertion Lasca himself used as many as four “recognitions” in I Parentadi.

19 Lasca, La Strega in Commedie di A. Grazzini.

20 G. Gelli, La Sporta (Fiorenza: Giunti, 1566).

21 H. Salviano, La Ruffiana (Venetia: Lucio Spineda, 1606).

22 D. Giannotti, Il Vecchio Amoroso in Opere di D. Giannotti (Firenze: Le Monnier, 1850).

23 G. Cecchi, Il Martello, op. cit.

24 Lasca, La Strega, op. cit.

25 G. Razzi, La Balia (Firenze: Giunti, 1560).

26 L. Dolce, La Fabrilia, op. cit.

27 “La imitazione non è così servile come si vuol far credere da molti, e spesso non ve n'ha di nessunissima guisa,” writes Arturo Graf in Studi drammatici (Rome, 1878), p. 84. G. A. Galzigna says much the same in Fino a che punto i Commediografi del Rinascimento abbiano imitato Plauto e Terenzio (Capodistria, 1899, pp. 39–40).—This subject will be fully discussed in a separate paper.

28 L. Dolce, La Fabritia, op. cit.

29 L. Dolce, Il Ragazzo in Comedie di L. Dolce.

30 La Comedia del Contile chiamata La Pescara (Milano: F. Marchesino, 1550).

31 G. A. Giancarli, La Capraria (Venetia: Marcolin, 1544).

32 P. Aretino, La Cortigiana in Teatro di Pietro Aretino (Carabba: Lanciano, [n.d.].

33 L. Grotto, L'Alteria, op. cit.

34

Ma, perchè ben sappiate la sua mente,
gli è piaciuto scostarsi così alquanto
dal modo e da l'usanze degli antichi:
chè, dove han sempre usato essi che il caso
e tutto quel che pongono in comedie
possa essere in un tempo e in un dì solo,
questi ora vuol che la presente scena,
secondo che richiede la sua favola,
servi a più giorni e notti in fine a un anno.
E, benchè si potesse aperto dire
che gli è così piaciuto, ha pur in vero
qualche ragione in sè; perchè, sì come
si vive or con la vita del dì d'oggi
e non di quegli che furno già un tempo,
e son vari i costumi, pare onesto
con questi le poesie, le prose, i versi,
li stili e l'uso ancor del recitare,
sicondo i tempi, si mutino e innovino.
(A. Ricchi, I Tre Tiranni, in Sanesi, op. cit., vol. I.)

35 A. Scaramuccia, La Stratonica (Venetia: M. Zaltieri, 1616).

36 J. Pagnini, I Ricordi (Fiorenza: Giunti, 1600).

37 “Se dentro non ci troverete osservanza di lingua, nè di regola, voi altri Signori Regolisti potrete fare il vostro ofitio … perchè ormai io ho fatto il callo.” (Prologue to I Ricordi, op. cit.)

38 G. Della Porta, I Duoi Fratelli Rivali, op. cit.

39 “Vere commedie,” writes Girolamo Razzi in his Prologue to La Balia, op. cit., “sono quelle che piacevole e argute dilettano: e gravi e severe giovano sommamente.”

This same view is expressed by the following writers: A. Pennacchi, in La Perugina (Venetia: Christoforo detto Stampone, 1527); Machiavelli, in Clizia, Le Commedie di N. Machiavelli (Torino: Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1932); N. Secchi, in L'Interesse (Venetia: F. Ziletti, 1581); B. Pino da Cagli, in Gl' Ingiusti Sdegni, op. cit.; C. Castelletti, in I Torti Amorosi (Venetia: Gio. Battista Sella, 1581); R. Martini, in Amore Scolastico (Firenze: Giunti, 1570) and G. Parabosco, in Il Ladro (Venetia: Rocco, 1558).

40 C. Castelletti, op. cit.

41 G. Razzi, op. cit.

42 N. Machiavelli, op. cit.

43 G. Parabosco, Il Viluppo (Vinezia: G. De'Ferrari, 1547).

44 “Se vi fosse qualche disonestà è solo per dilettare.” Clizia, op. cit.

45 “Se gli spettatori sentissero qualche parolina che nel riprendere i vitii paresse loro un poco licentiosa, che non l'abbiano a male, perch‘è non c‘è nulla di personale; l'autore ha solo voluto fare l'officio del comico che è di opprimere e trafiggere con motti e dimostrationi di affetti, le sceleragine de gli huomini che perversamente vivono.” G. Parabosco, La Fantesca (Venezia: Stephano di Alessi, 1556).

46 G. Della Porta, L'Olimpia in Stampanato, op. cit., vol. ii.

47 L. Dolce, Il Ragazzo in Comedie di Lodovico Dolce, op. cit.

48 “È importante soddisfar chi ride con ragione, perchè il riso senza ragione è segno di solennissima pazzia.” La Comedia del Contile chiamata La Pescara, op. cit.

49 B. Varchi, La Suocera (Firenze: Bartolommeo Sermartelli, 1569).

50 F. Loredano, Il Biboniio (Venetia: Bartolamio de'gli Alberti, 1609).

51 Ibid.

52 B. Varchi, op. cit.

53 “Non essendo la commedia altro che una immagine, e più tosto specchio della vita cittadina, non si debbe introdurre cosa nessuna dentro, la quale civile e onestissima non sia, e donde, non la licenza di vivere e operare viziosamente, ma di conoscere e ammendare i vizi si possa apparare a cavare esempio.” (Varchi, op. cit.)

54 “Color commettono errore, i quali dishonestamente e con esempi di vitiosi e plebei empiono le scene di uomini sciocchi, d'adulatori, di femmine impudiche, di giovani scellerati e d'altre cose infinite che più tosto mostrano la piana e larga via del vitio, che lo stretto e malagevole sentiero de la virtù.” (Razzi, op. cit.)

55 “È ben da lo dolersi che lo specchio, che debbe esser chiaro per ornamento di chi il mira, così s'imbruni alle volte, che dove mostrar dovrebbe le virtù per apprenderle rappresenta i vitii per imitarli.” (Pino da Cagli, Ingiusti Sdegni, op. cit.)

56 G. Razzi, op. cit.

57 G. Parabosco, op. cit.

58 R. Martini, Amor Scholastico, op. cit.

59 G. Cecchi, Gl'Incantesimi, op. cit.

60 G. Cecchi, Lo Spirito, in Comedie di Gianmaria Cecchi, op. cit.

61 G. Cecchi, La Stiava, in Comedie di Gianmaria Cecchi, op. cit.

62 Lasca, I Parentadi, in Commedie di A. Grazzini, op. cit.

63 A. Ricchi, I Tre Tiranni, in Sanesi, op. cit., vol. i.

64 L. Contile, La Pescara, op. cit.

65 Comedie del Contile chiamata Trinozzia (Milano: Francesco Marchesino, 1550).

66 S. D'Oddi, Erofilomachia (Venetia: Marchio Sessa, 1586).

67 N. Degli Angeli, Amor Pazzo (Venetia: Heredi di Marchio Sessa, 1596).

68 A. Piccolomini, Amor Costante, in Sanesi, op. cit., vol. ii.—Most of the material dealing with these subjects is to be found, not in Latin plays, but in classical romances and particularly in the Italian novelle.

69 Lasca, La Strega, in Commedie di A. Grazzini, op. cit.

70 L. Ariosto, La Cassarla, op. cit.

71 B. Varchi, La Suocera, op. cit.

72 F. Belo, 77 Pedante, op. cit.

73 “Quello (idioma) è barbaro che non s'intende e più che è povero.” Angeli Gabrieli, Aristippia (Vinegia: Zoppino, 1530).

74 Bibbiena (B. Dovizi), La Calandria, in Sanesi, op. cit., vol. i.

75 “Altri (filosofi) sogliono esclamare: questa lingua è troppo comune; quella parola non è usata dal Boccaccio, le clausole non sono lunghe, il verbo non è in fine; non ci sono numeri, nè epiteti, nè gravità.” (Prologue to Dolce's Fabritia, op. cit.)

76 “Perchè la cura nostra è di essere intesi da tutti, non voghamo partire dal nostro diritto e comune linguaggio.” (Prologue to Dolce's Ruffiano, op. cit.)

77 “Se non facciamo questo, è perchè siam da poco e ci diamo poco pensiero a farci honore.” M. Podiani, I Migliacci (Peroscia: Girollamo Cartolai, 1530).

78 B. Pino da Cagli, Lo Sbratta (Venetia: Lucio Spineda, 1603).

79 G. Cecchi, I Rivali, in Commedie di Giovammaria Cecchi (Firenze: Le Monnier, 1856).

80 The Spaniard in Dolce's Ragazzo is a notable exception. He is not a prototype of the “miles gloriosus,” but a refined gentleman, who came to Italy when a boy, and speaks Italian perfectly.

81 In Cini's Vedova (Fiorenza: Giunti, 1569), Laughter, who acts as the Prologue, in order to make the play more entertaining, gives the author permission to use various languages, instead of one alone, but “tutte italiane, e pel lungo uso assai intelligibili.” On the other hand, in Piccolomini's Amor Costante a Neapolitan speaks his own dialect and a Spaniard and a German use “pidgeon” Italian.

82 A. Piccolomini, Hortensio (Venetia: Bartolamio Rubin, 1586).

83 Lasca, La Spiritata, in Commedie di A. Grazzini, op. cit.

84 Bibbiena wrote his Calandria “in prosa e non in versi, perchè si parla così.” (Prologue to Calandria, op. cit.) Podiani in I Megliacci did the same “perchè non ci ricordiamo che i nostri cittadini così al domestico parlando dicessero per rime.”

85 L. Alemanni, La Flora (Firenze: Sermartelli, 1601).

86 F. D'Ambra, I Bernardi, op. cit.

87 A. Ricchi, I Tre Tiranni, op. cit.

88 A similar sort of arrangement was evidently in the mind of Dolce who composed his Marito “in un verso comico che non si sa se è prosa o verso,” and likewise of Bentivoglio whose Geloso was written in verse after the fashion of Greek and Latin authors, but “in versi che sono prosa piena di numeri e di figuri, e senza punto di quella affettatione che portan seco le rime.” (Dolce, Il Marito, op. cit.)

89 Among these may be mentioned the following: G. Cecchi, Lo Spirito, op. cit.; Il Servigiale (Fiorenza: Giunti, 1561); L'Ammalata, in Commedie Inedite di G. Cecchi (Firenze: Barbera, 1855); Il Donzelo (Venetia: Giunti, 1585); Lasca, La Gelosia, op. cit.; G. Pico, Honesta Schiava (Vinegia: Altobello Salicato, 1609). Note also that in Machiavelli's Mandragola and Clizia (op. cit.) a “canzone” precedes the prologue and follows each act; in Varchi's Suocera (op. cit.) every act is preceded by a madrigal, and in Giannotti's Vecchio Amoroso (op. cit.) a chorus appears at the beginning of each act.

89a L. Salviati, Il Granchio (Firenze, 1568).

90 Lasca, La Strega, op. cit.

91 A. Piccolomini, L'Hortensio, op. cit.

92 F. Podiani, Schiavi d'Amore (Perugia: Appresso gli Academici Augusti, 1607).

93 A small number of these Prologues have been treated in full or in part by V. De Amicis in L'Imitazione latina nella commedia italiana del secolo XVI (Firenze, 1897), by G. A. Galzigna, op. cit., and by N. Campanini in Lodovico Ariosto nei Prologhi delle sue Commedie (Bologna: Nicola Zanichelli, 1891).

94 For a discussion of other topics connected with the same Prologues see my article on “The Prologue in the Commedie Erudite of the Sixteenth Century,” Italica, xviii, No. 3 (September, 1941).

95 Among the best known of these works are the following: