1. INTRODUZIONE
Insieme all'imponente cinta muraria, l'insula XXXI (Area 4)Footnote 1 è a oggi l'unica porzione scavata visibile dell'area intramuraria di Falerii Novi (Fabrica di Roma, Lazio),Footnote 2 città romana dell’ager Faliscus che la tradizione tramanda essere stata fondata in età medio-repubblicana,Footnote 3 in seguito alla distruzione della falisca Falerii Veteres nel 241 a.C.Footnote 4 Parzialmente scavata tra il 1969 e il 1975 dalla allora Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale, l'insula XXXI non ha mai ricevuto una identificazione e una edizione dei dati di scavo (Fig. 1). Le indagini, che ne interessarono la sola metà orientale, restituirono i resti di un edificio pubblico monumentale posto all'intersezione fra i principali assi viari urbani est–ovest e nord–sud. Il complesso, edificato in opus quadratum, fu interessato da diverse fasi edilizie, come anche da una profonda e sistematica attività di spoliazione (Fig. 2). La sua metà occidentale non venne invece mai indagata e resta a oggi non scavata. Le indagini geofisiche avviate alla fine degli anni ’90 del secolo scorso dal gruppo di ricerca diretto da Simon Keay e Martin Millett nell'ambito del ‘Tiber Valley Project’ (Keay et al., Reference Keay, Millett, Poppy, Robinson, Taylor and Terrenato2000) e quelle successivamente realizzate dalle Università di Ghent e Cambridge (Verdonck et al., Reference Verdonck, Launaro, Vermeulen and Millett2020; Millett et al., Reference Millett, Launaro, Verdonck and Vermeulenc.d.s.) non interessarono l'area in esame, che conseguentemente non fu mai rilevata topograficamente. Nel 2021 la ripresa delle indagini archeologiche nell'ambito del ‘Falerii Novi Project’ (Bernard et al., Reference Bernard, Andrews, Ceccarelli, Dodd, Kay, Leone and Vermeulen2022; Andrews et al., Reference Andrews, Bernard, Dodd, Fochetti, Kay, Liverani, Millett and Vermeulen2023a; Reference Andrews, Bernard, Ceccarelli, Dodd, Fochetti, Kay and Vermeulen2023b) ha permesso a chi scrive di avviare uno studio storico-topografico sistematico sull'insula XXXI (Andrews et al., Reference Andrews, Bernard, Dodd, Fochetti, Kay, Liverani, Millett and Vermeulen2023a: 16–18; Reference Andrews, Bernard, Ceccarelli, Dodd, Fochetti, Kay and Vermeulen2023b: 334). La ricerca, finalizzata a colmare la lacuna nella conoscenza dell'area centrale di Falerii Novi, è stata promossa dalla British School at Rome e dall'Università degli Studi di Firenze. L'utilizzo di un approccio metodologico interdisciplinare ha permesso di ottenere risultati significativi, consentendo di riconoscere nei resti dissepolti dell'insula XXXI un tempio monumentale di epoca repubblicana, di rilevante significato storico e urbanistico. Il complesso, orientato est–ovest e occupante l'intera superfice dell'isolato (42 x 62 m circa), è in rapporto diretto con il Foro, sul quale si affaccia, separato dal tratto urbano della Via Amerina. L'analisi strutturale e il rilievo topografico hanno messo in luce l'esistenza di due fasi edilizie in opus quadratum, l'una relativa alla prima fase costruttiva, l'altra a un rifacimento in scala monumentale. In questa fase venne rialzato completamente il livello dell'area e creata un'imponente piattaforma, con l’aedes in posizione centrale e portici nei lati lunghi. Sono stati inoltre riconosciuti interventi in opus caementicium e modifiche successive, da ultima una sistematica attività di spoliazione conseguente alla de-funzionalizzazione del complesso. In questo articolo vengono presentati i primi risultati ottenuti nel corso delle campagne 2022 e 2023 del ‘Falerii Novi Project’. Vengono illustrate le indagini geofisiche, l'analisi strutturale e l'identificazione del complesso, corredate da ricerche d'archivio e discusse le principali fasi edilizie. La planimetria dell'edificio sacro, integrativa dei rilievi fotogrammetrici e storici, completa la documentazione di questo settore urbano.
2. INQUADRAMENTO STORICO-TOPOGRAFICO
L'insula XXXI (Area 4) occupa il settore centrale dell'area urbana prospicente il fianco sudovest del Foro, così identificato dalle indagini geofisiche (Keay et al., Reference Keay, Millett, Poppy, Robinson, Taylor and Terrenato2000; Fig. 3). La centralità di questo isolato è accentuata dal suo rapporto con la viabilità urbana: esso si trova all'intersezione tra il principale asse est–ovest (cosiddetto decumanus maximus) e il principale asse nord–sud,Footnote 5 corrispondente al tratto urbano della via tradizionalmente riconosciuta come Via Amerina.Footnote 6 Quest'ultima ne delimita il lato breve orientale, separandola dal Foro, mentre l'asse est–ovest ne borda il lato lungo settentrionale. L'isolato si sviluppa quindi in senso est–ovest e misura 42 x 62 m, corrispondenti a circa 141 x 209 pedes strade escluse. Complessivamente occupa un'area di circa 2600 mq. Le esatte dimensioni sono ricostruibili attraverso la lettura dei sondaggi realizzati negli anni 1969–75 che, oltre a liberare gli assi viari sui lati nord ed est, scavarono parzialmente anche la strada est–ovest che delimita l'isolato a sud (strada 4102). Sondaggi successivamente rinterrati individuarono anche la viabilità nord–sud (strada 4103) che a ovest separa l'insula XXXI (Area 4) dal macellum (Area 1). Quest'ultimo, identificato attraverso indagini GPR (Verdonck et al., Reference Verdonck, Launaro, Vermeulen and Millett2020), è attualmente in corso di scavo da parte dell'Università di Harvard (Andrews et al. Reference Andrews, Bernard, Ceccarelli, Dodd, Fochetti, Kay and Vermeulen2023b: 331–2). Non si conosce invece la funzione degli isolati a nord e a sud dell'Area 4, rispettivamente insula XX e insula XLII, la cui lettura è complicata dagli scarichi dei pregressi scavi, che ne obliterano parzialmente gli areali. Il piano di campagna si trova a 204.30 m slm. L'orografia di questo settore urbano si caratterizza per un doppio dislivello, rilevabile sulla traiettoria degli assi stradali. L'uno corrispondente a una pendenza del 2.02% in direzione ovest–est; l'altro a una pendenza del 2.28% direzione nord–sud (Fig. 4). La situazione orografica influenzerà la progettazione del complesso.
3. LE INDAGINI 1969–75: IL FONDO ARCHIVISTICO ‘SBAEM’
Tra il 1969 e il 1975 l'allora Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale diede avvio a indagini archeologiche finalizzate alla identificazione del Foro (Arch. VG, fondo SBAEM, giornale scavo 1969, fol. 1; Brunetti Nardi, Reference Brunetti Nardi1972: 47). Lo scavo fu diretto dalla dott.ssa Gabriella Perina Begni, coadiuvata sul campo dall'assistente Arcangelo Bracci, che redasse la documentazione di scavo.Footnote 7 Le indagini, iniziate il 5 maggio 1969 sui terreni all'epoca di proprietà Sebastianini,Footnote 8 interessarono la metà orientale dell'insula XXXI, indagata sistematicamente con campagne di scavo annuali, che si protrassero fino al 1975 incluso (Fig. 1). Fonti archivistiche (giornali di scavo, rilievi, fotografie storiche ed aeree) permettono di ricostruire la dinamica delle esplorazioni. La documentazione, conservata nell'archivio storico dell'ex Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale (Fondo SBAEM) presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, si compone di sette giornali di scavo, organizzati annualmente in fascicoli. Questi erano corredati da un numero consistente di provini fotografici, pari a 249 immagini realizzate in corso di scavo (Fig. 5). I giornali sono nel loro insieme di natura compilativa, limitandosi a una registrazione, seppur estremamente puntuale, delle strutture via via messe in luce. Le descrizioni erano completate da accurati schizzi in scala, con annotazione delle singole dimensioni e caratterizzazione delle opere murarie dissepolte, ma tendenzialmente prive di slanci interpretativi. Le quote di livello erano sostituite da una indicazione di profondità rispetto al piano di campagna. I materiali ritenuti di maggiore interesse furono elencati nei giornali, talvolta con indicazione del luogo di rinvenimento, seppure privo di un contesto stratigrafico (infra). Sommaria è invece la descrizione del materiale più comune e delle tipologie ceramiche, genericamente definite «terrecotte». La lettura dei diari riferisce di uno scavo molto accurato, ma condotto per livelli, con la conseguente irrimediabile perdita del dato stratigrafico. Di contro, gli scavatori riservarono particolare attenzione al rilievo, come evidenziato dalla elevata qualità della documentazione grafica realizzata dalla Soprintendenza. Di particolare utilità e interesse sono un'assonometriaFootnote 9 e la planimetria generale degli scavi all'anno 1974,Footnote 10 entrambe realizzate in scala 1:100. La planimetria, che localizza i saggi realizzati negli anni 1969–74, è stata qui utilizzata per integrare il rilievo fotogrammetrico (Fig. 4). Grazie al confronto con la documentazione fotografica e i giornali di scavo si è potuta quindi ricostruire completamente la dinamica delle indagini. Dapprima (1969) fu realizzata una serie di sondaggi esplorativi, finalizzati a definire i limiti dell'isolato e del sistema viario attiguo. I lavori iniziarono dall'angolo sudorientale, con l'intento di rintracciare la Via Amerina.Footnote 11 Negli anni successivi l'attenzione degli scavatori si concentrerà sulla liberazione degli assi stradali (1970) e quindi sull'ampliamento dei sondaggi e lo scavo della metà orientale dell'isolato. Questo venne sistematicamente dissotterrato procedendo da est verso ovest, con settori di scavo organizzati annualmente per saggi e ampie fasce nord–sud. Una serie di aerofotografie realizzate da Paolo Lisandrelli, parte del ‘Fondo Aerotop’Footnote 12 conservato presso l'Aerofototeca Nazionale in Roma (Boemi, Reference Boemi and Guaitoli2003), ritraggono lo stato dei luoghi nelle fasi conclusive dello scavo (Fig. 1). I lavori si interruppero il 18 novembre 1975Footnote 13 in corrispondenza con le strutture attribuibili alla fronte est del tempio (Fig. 6).
L'assenza del dato stratigrafico, in questo settore urbano, è complicata dalla concreta possibilità che l'area sia stata in tutto o in parte interessata da pregresse esplorazioni. Basterà citare una relazione manoscritta del Pasqui datata 5 settembre 1898, e quindi precedente agli scavi che Mancinelli Scotti realizzerà in quello stesso anno (Pasqui, Reference Pasqui1903; Ligabue, Reference Ligabue, Biella and Tabolli2021), la quale riferisce chiaramente di scavi in passato realizzati in corrispondenza del punto di incrocio fra la Via Amerina e il decumanus. Footnote 14
Le indagini 1969–75 rimasero sostanzialmente inedite. Sintetiche informazioni furono rese in corso di scavo nel Repertorio degli scavi e delle scoperte archeologiche nell'Etruria meridionale (Brunetti Nardi, Reference Brunetti Nardi1972: 47; Reference Brunetti Nardi1981: 97) e nei Fasti Archeologici (1979: 356–7, n. 5610). Pur avendo riconosciuto il carattere monumentale del «grande edificio» – come abitualmente definito nei giornali di scavo – nessuna ipotesi circa la sua identificazione venne avanzata.Footnote 15 Indagini successive in questo settore urbano furono promosse dalla Soprintendenza nel 1989, con una serie di limitati sondaggi a est dell'insula XXXI, che intercettarono l'area forense (De Lucia Brolli, Reference De Lucia Brolli1995–96).Footnote 16 Tra questi, un saggio a est dell'incrocio fra Via Amerina e decumanus rilevò l'interruzione di quest'ultimo in corrispondenza del Foro e la presenza di una pavimentazione con elementi di reimpiego, pertinenti a una fase tarda d'utilizzo.
4. LA METODOLOGIA: CAMPAGNE 2022 E 2023 DEL ‘FALERII NOVI PROJECT’
La ripresa delle indagini archeologiche nell'ambito del ‘Falerii Novi Project’ ha offerto le condizioni per avviare uno studio sistematico sull'insula XXXI (Area 4). I limiti dettati dall'assenza di dati stratigrafici hanno imposto un approccio metodologico multidisciplinare. L'intera area è stata indagata incrociando i documenti d'archivio, le fotografie storiche ed aeree con i dati raccolti sul campo e i risultati delle indagini non invasive.
4.1 Fotogrammetria e rilievo topografico
Le strutture esposte della metà orientale scavata sono state rilevate mediante fotogrammetria, impiegata per realizzare i prospetti e la planimetria generale dell'area (Fig. 4).Footnote 17 Per i prospetti è stata usata una macchina fotografica terrestre mentre per produrre l'ortofoto si è utilizzato un drone DJI Air 2S. Il rilievo è stato supportato dall'acquisizione di punti topografici, tramite un GPS Leica GS18, utilizzati come Ground Control Points per la successiva georeferenziazione del modello fotogrammetrico. Lo strumento GPS è stato utilizzato inoltre per registrare 220 quote sulle strutture, utili a supportare l'identificazione delle fasi. La già citata planimetria 1974Footnote 18 è stata la base documentale per integrare il rilievo fotogrammetrico con le strutture scavate che a oggi restano sepolte da detriti e vegetazione infestante (Fig. 2). L'affidabilità della planimetria 1974 è stata verificata incrociando le notizie rese nei giornali Bracci con le 249 immagini di scavo conservate presso l'archivio fotografico del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (Fig. 5). Il confronto con l'assonometria 1974 e le fotografie aeree del ‘Fondo Aerotop’ (Fig. 1) ha infine offerto la possibilità di una ulteriore verifica sulle strutture non visibili.
4.2 Analisi strutturale e carotaggi
L'assenza di dati stratigrafici è stata compensata attraverso una campagna sistematica di documentazione delle unità stratigrafiche murarie (USM) visibili. Oltre cento unità sono state identificate, interpretate stratigraficamente e quindi poste in relazione con le fasi di realizzazione, utilizzo e abbandono del complesso. Data la natura del contesto, complicata dalla esistenza di due fasi sovrapposte in opus quadratum, è risultato fondamentale il confronto fra le quote di livello.
La stratigrafia superstite al di sotto dei livelli scavati è stata testata con una serie di carotaggi, realizzati dall’équipe dell'Università di Ghent (Andrews et al. Reference Andrews, Bernard, Ceccarelli, Dodd, Fochetti, Kay and Vermeulen2023b: 334). Si è scelto di testare l'area centrale (Fig. 7, nn. 11, 12) e quella a nord e sud (nn. 13–16, 19) del portico settentrionale di I fase (4001). I carotaggi hanno rilevato la presenza di suolo naturale privo di materiale archeologico.
4.3 Ground-penetrating Radar
La metà occidentale non scavata è stata indagata attraverso prospezioni geofisiche (Fig. 7). Un'area di circa 426 m2 è stata rilevata impiegando la tecnica del Ground-penetrating Radar (GPR), già utilizzata con successo a Falerii Novi (Millett et al., Reference Millett, Verdonck, Leone and Launaro2019; Verdonck et al., Reference Verdonck, Launaro, Vermeulen and Millett2020). È stato utilizzato uno strumento GSSI SIR-3000 associato a un'antenna con frequenza nominale 200Mhz e a un'antenna 400Mhz. Le indagini GPR hanno offerto una visione più omogenea dell'Area 4 e integrato i dati nell'area non inclusa nelle precedenti indagini geofisiche. La strada nord–sud che divide l'insula XXXI (Area 4) dal macellum (Area 1) è stata intercettata a una profondità minima di -0.70–0.80 m. Essa risulta perfettamente in asse con il suo proseguimento a nord e sud, identificato da indagini precedenti (Millett et al., Reference Millett, Verdonck, Leone and Launaro2019). Ciò ha permesso di confermare le già citate dimensioni dell'isolato, pari a circa 42 x 62 m strade escluse. Riconoscibile è anche il lato nordorientale del macellum ottagonale, precedentemente non rilevato (Fig. 7). Consistenti anomalie nell'area, a profondità affine alle strutture qui attribuite al tempio, possono essere ricondotte alle fondazioni di II fase, coerentemente con il grado di spoliazione delle strutture osservabile nell'area scavata. Ulteriori indagini sono in programma nell'ambito del ‘Falerii Novi Project’.
5. IL TEMPIO MONUMENTALE REPUBBLICANO DEL FORO
Un tempio monumentale di notevole rilevanza urbanistica è stato identificato nei resti dissepolti dell'insula XXXI (Area 4). Il complesso è orientato est–ovest e occupa l'intera superfice dell'isolato; è rivolto verso il lato sudoccidentale del Foro, dal quale è fisicamente separato dalla Via Amerina. Il principale risultato raggiunto dalle indagini consiste nell'aver riconosciuto l'esistenza di due fasi edilizie in opus quadratum, afferenti l'una alla edificazione del complesso; l'altra a una ricostruzione in forme monumentali, realizzata rialzando il livello dell'area con una imponente piattaforma e inglobando i resti della I fase. Le due fasi vanno collocate entro i limiti dell'età repubblicana. Una serie di interventi in opus caementicium testimonia la continuità d'uso del complesso in età imperiale, fino alla massiccia fase di spoliazione successiva alla sua de-funzionalizzazione e abbandono. Le fasi individuate vengono presentate preliminarmente, rimandando ad altra sede un inquadramento cronologico puntuale, per il quale saranno necessarie indagini stratigrafiche e il confronto con i materiali rinvenuti negli scavi 1969–75 (infra).
5.1 Fase I
Il complesso di I fase può essere identificato grazie a un circoscritto gruppo di USM individuate in situ (Fig. 8). La leggibilità della I fase edilizia è infatti compromessa dalle alterazioni avvenute nella riedificazione di II fase, che ha obliterato completamente le strutture più antiche, poste a quota inferiore. Le evidenze si concentrano prevalentemente lungo il lato settentrionale e orientale dell'isolato e sono allineate alla maglia urbana. Conseguentemente il complesso di I fase presenta un orientamento est–ovest, che resterà successivamente inalterato. La tecnica edilizia adottata è l’opus quadratum e il materiale utilizzato è un tufo di estrazione locale denominato ‘tufo rosso a scorie nere’ (Locardi, Reference Locardi1965; Peccerillo, Reference Peccerillo2005), le cui cave abbondano nell'hinterland di Falerii Novi (Opitz, Reference Opitz2009: 9–13).
Il lato settentrionale del complesso era definito da un portico est–ovest a navata singola, parallelo al cosiddetto decumanus maximus e aperto a sud verso un'area scoperta. Il muro di fondo (4001) era in opera quadrata pseudoisodoma con conci disposti nel senso della lunghezza su filare singolo. Il muro è documentabile per una lunghezza di 27.60 m; la sua prosecuzione a ovest oltre i limiti dell'area scavata supporta l'ipotesi che il portico definisse l'intero lato lungo dell'isolato. La parete interna era intonacata. Immagini d'archivio della campagna 1973Footnote 19 ne ritraggono il lato sud con evidenti tracce d'intonaco a fondo bianco con riquadrature geometriche nello zoccolo, assimilabili a una decorazione in imitazione dell’opera quadrata (Fig. 5). La presenza d'intonaco, a oggi non conservato, è confermata anche dal giornale di scavo 1972.Footnote 20 Il portico, in quota con l'asse stradale est–ovest, era aperto a sud mediante un colonnato, del quale sono state riconosciute in situ tre basi di colonne in tufo (Fig. 9). Gli elementi si caratterizzano per l'alto plinto rettangolare, molto sviluppato, con funzione di fondazione. Il piano di attesa non presenta fori da perno. Le basi di colonna sono attualmente gli unici elementi architettonici utili a supportare un inquadramento cronologico. Basi su alto plinto cilindrico sono attestate nell'architettura templare tuscanica di III–II secolo a.C., nel tipo delle ‘basi a bacile’.Footnote 21 Il tipo su alto plinto quadrangolare interrato nel piano pavimentale trova attestazione in contesti databili tra la media e tarda età repubblicana. I confronti includono un elemento della terrazza inferiore dell'edificio monumentale repubblicano di Gabii (Area F), datato alla metà del III secolo a.C. (Johnston et al., Reference Johnston, Mogetta, Banducci, Opitz, Gallone, Farr, Casagrande Cicci and Terrenato2018: 14, fig. 8); mentre a Ostia la soluzione è adottata, con elementi ancora in situ, per le colonne in tufo degli Horrea di Hortensius –V, xii, 1 (L. Kosmopoulos, Reference Kosmopoulos2022: 152, fig. 145), ritenuti di età cesariana ο triumvirale (Coarelli, Reference Coarelli1994: 36; Zevi, Reference Zevi2002: 54). Un confronto morfologico per gli esemplari di Falerii Novi è noto anche a Rusellae, in un elemento reimpiegato lungo l'asse stradale urbano nord–sud. Il portico così strutturato aveva una profondità della navata pari a circa 4.00 m. Sulla base dei dati disponibili non è possibile stabilire la presenza, pur ipotizzabile, di un portico lungo il lato meridionale. Altre due basi del tipo sin qui descritto sono state individuate nell'Area 4. L'una frammentaria e in giacitura secondaria in un approfondimento dell'angolo sudest; l'altra (4076) in pessimo stato di conservazione ma in asse con la base di colonna 4036 del portico settentrionale. Le annotazioni del giornale scavo 1971 (Arch. VG, fondo SBAEM, giornale scavo 1971, fol. 24) confermano che l'elemento venne rinvenuto in situ. La base di colonna 4076 si trova in relazione stratigrafica con la canalizzazione 4067 che definisce il lato orientale in direzione nord–sud. Si può quindi supporre la presenza di un portico anche lungo il lato orientale, definito a est dalla struttura 4069.
Agli apparati di convogliamento delle acque attribuibili alla I fase edilizia è ascrivibile anche il sistema ipogeo 4033, sito al termine meridionale della canalizzazione 4067. Il profilo della struttura, inaccessibile, è delineabile grazie a uno schizzo misurato allegato al giornale scavo 1971 (Fig. 10) (Arch. VG, fondo SBAEM, giornale scavo 1971, fol. 22). Il pozzo, di forma rettangolare (1.50 x 2.70 m), aveva una profondità di circa 4.60 m ed era connesso con un cunicolo dall'altezza riportata di 1.65 m. Questo era orientato verso sud e verosimilmente connesso con una cisterna di accumulo e/o un sistema ipogeo di canalizzazione. La ghiera si trova in quota (201.69 m slm) con la fondazione di pilastro 4029, suggerendo che il sistema sia stato mantenuto in uso anche durante la II fase edilizia rialzandone il livello. Al momento dello scavo vi venne rinvenuto consistente materiale ceramico, potenzialmente utile a definirne la cronologia di abbandono.Footnote 22 Un secondo sistema di canalizzazione (4064), parallelo a quello già descritto, correva lungo il margine orientale del complesso. La struttura, in cattivo stato di conservazione, venne defunzionalizzata da interventi di II fase (4056). La canalizzazione è allineata alla maglia urbana, ma non è chiaro se essa conducesse verso un sistema di accumulo ipogeo posto al di sotto del piano stradale. Morfologicamente questa canalizzazione si distingue per l'incavo a profilo rettangolare, una soluzione largamente impiegata in ambiente tufaceo, le cui attestazioni risalgono fino all'ambito etrusco, ad esempio nell'altare dell'area sacra di Portonaccio a Veio (Colonna, Reference Colonna2002).
Lungo il limite occidentale dell'area scavata la campagna conclusiva del 1975 portò alla luce la fondazione di un edificio in opus quadratum (4018), inglobato entro le fondazioni del tempio di II fase (Fig. 6). La struttura è in quota (201.63 m slm) con il portico del lato settentrionale.Footnote 23 Venne esposto il solo lato orientale, per una lunghezza di 17.20 m max. L'angolo nordest, ben riconoscibile nelle immagini di archivio è stato ripulito e rilevato durante la campagna 2023 del FNP e il rilievo integrato nella planimetria generale. In ragione del rapporto con il successivo tempio di fase II, che ne ingloba i resti, si ritiene di poter identificare la struttura 4018 con un’aedes di I fase, orientata est–ovest e delimitata da portici. Sulla base dei dati disponibili la I fase edilizia può essere collocata entro le fasi iniziali dell'impianto urbano di Falerii Novi. Indirizzano verso questa interpretazione l'orientamento, il posizionamento all'incrocio dei due principali assi viari, la tecnica edilizia, i sistemi di accumulo e smaltimento delle acque compatibili con le fasi di definizione della griglia urbana, come anche l'assenza di materiale archeologico sotto i livelli del portico settentrionale rilevata dai carotaggi (supra). Come noto, la fondazione di Falerii Novi viene tradizionalmente fatta risalire alla metà del III secolo a.C. Questa datazione si basa essenzialmente sulle informazioni tramandate dalle fonti storiche, che collocano la fondazione della città successivamente alla distruzione di Falerii Veteres nel 241 a.C. (cfr. nota 3). Alcuni materiali pertinenti a lo scavo del 1969 attestano l'esistenza di una fase medio e tardo repubblicana. I dati non sono tuttavia sufficienti a definire in via definitiva l'orizzonte cronologico della I fase edilizia e della sua ricostruzione monumentale di II fase (infra).
5.2 Fase II
La II fase edilizia vide la completa riedificazione dell'area sacra in forme monumentali (Fig. 8). Le strutture si conservano per larga parte a livello delle fondazioni, edificate esclusivamente in opus quadratum con blocchi di tufo locale, al pari di quelle più antiche. Si registra anche l'utilizzo, seppur limitato, del peperino grigio, pietra vulcanica di estrazione locale. In primo luogo fu rialzata la quota dell'intero isolato mediante un poderoso basamento artificiale. A tal fine venne creato un terrapieno di 42 x 62 m, di cui restano ben visibili le fondazioni in opus quadratum che cingono il perimetro del complesso (Fig. 11). Queste avevano una larghezza di circa 1.20 m e 1.90 m nel tratto nordest, con filari alternati di testa e di taglio. La profondità delle fondazioni venne verificata nel 1969, con un saggio in corrispondenza dell'angolo sudorientale, a ridosso del muro 4053. L'approfondimento permise agli scavatori di constatare una profondità di 1.80 m, pari all'altezza di tre filari.Footnote 24 Strutturalmente il rialzamento di livello fu funzionale a ottenere un complesso visivamente unitario, sopraelevato rispetto alla viabilità circostante, compensando i già citati dislivelli orografici (infra). Nel lato occidentale della piattaforma venne (ri)costruito un tempio monumentale, inglobando l'edificio di I faseFootnote 25 (Fig. 6). Le fondazioni del tempio di II fase sono orientate est–ovest e misurano circa 23 x 32/34 m equivalenti a 77 x 108/115 pedes. Footnote 26 Il poderoso perimetro esterno della fondazione, ben visibile nel lato est, era largo 1.90–2.50 m e costituito da filari di diatoni e ortostati su tre ranghi posati in opera alternati.
I lati nord e sud della piattaforma vennero delimitati da due portici a navata singola, aperti sull'area scoperta e di cui si conservano i pilastri di fondazione del colonnato. I portici erano tra loro speculari. Il portico meridionale, in un migliore stato di conservazione, è ricostruibile per una lunghezza di 26.50 m e una profondità di circa 4.00 m. L'ingresso al complesso non è conservato, ma è ipotizzabile che fosse garantito da una scalinata al centro del lato orientale, aperta sulla Via Amerina. A est l'unitarietà del terrapieno era infatti interrotta dalla struttura 4122, mal conservata. I blocchi in quota con il piano stradale presentano un profilo a L, compatibile con l'alloggiamento delle lastre di una gradinata. La morfologia dei conci è confermata da uno schizzo misurato nei diari di scavo (Arch. VG, fondo SBAEM, giornale scavo 1970, fasc. 1, fol. 29–30). L'ingresso così strutturato, ampio 7.50 m, era in asse sia con il tempio che con il lato sudest del Foro, traguardando l'edificio identificato come Basilica nelle indagini geofisiche (Keay et al., Reference Keay, Millett, Poppy, Robinson, Taylor and Terrenato2000: 38–9; Fig. 3).Footnote 27 Nell'angolo sudest del basamento si conservano invece i gradini in peperino di una scalinata (4052) aperta sulla strada a sud, all'incrocio con la Via Amerina. Di dimensioni ridotte (largh. 2.30 m; lungh. 5.70 m max.), essa doveva fungere da accesso secondario, se si accetta la presenza di un ingresso monumentale lungo il lato orientale. A sudest si conserva anche l'unica porzione di elevato visibile della piattaforma. Qui le fondazioni del basamento rivolte verso il Foro (4053) erano rivestite da lastre in tufo (4054), rettangolari e prive di modanature, conservate in situ per un tratto di 18.00 m.
Grazie ai rialzamenti di livello, il complesso sacro dell'Area 4 s'imponeva drasticamente sul Foro e sulla viabilità attigua, con un forte impatto visivo.Footnote 28 La differenza di quota più pronunciata tra viabilità e piattaforma interessa il lato meridionale, dove le fondazioni del portico (4025) sono sopraelevate di almeno 2.10 m (202.96 m slm) rispetto alla viabilità contermine (200.85 m slm). Data l'orografia, nel lato settentrionale il dislivello rispetto alle strutture conservate è invece minore (Fig. 4).Footnote 29 Relativamente al rapporto larghezza-lunghezza, le dimensioni generali del tempio di II fase (23 x 32/34 m; fondazioni 1.40–1.48%) si attestano su valori riscontrati in santuari sia del tipo periptero sine postico, Footnote 30 che del tipo a tre celle,Footnote 31 ma compatibili anche con il tipo prostilo a cella unica, sicché diverse soluzioni potrebbero essere ipotizzabili (D. Kosmopoulos, Reference Kosmopoulos2021: 81–97). I dati attualmente in nostro possesso non sono tuttavia sufficienti per stabilire con certezza la conformazione del lato occidentale e della cella, anche rispetto all'orografia dell'area. Sarebbe di conseguenza prematuro avanzare una proposta ricostruttiva del tipo templare o del suo apparato decorativo, per la quale si rende necessaria l'acquisizione di ulteriori dati. Gli elementi architettonici rinvenuti nell'area si limitano infatti a un gruppo di tre frammenti di colonna in peperino, in giacitura secondaria, mentre terrecotte e alcuni frammenti di decorazione architettonica sono citati nei giornali di scavo. In assenza di dati stratigrafici complesso è l'inquadramento della II fase, per la quale la tecnica edilizia suggerisce una datazione entro i limiti dell'età repubblicana.
5.3 I materiali degli scavi 1969–75
Ai materiali si farà solo un brevissimo accenno, dovendo al momento limitare l'analisi ai materiali della campagna 1969 e alle informazioni desumibili dai giornali di scavo, nei quali furono elencati i reperti ritenuti di maggiore interesse. Fra questi figurano, in particolare, alcune terrecotte figurate descritte come: «lastra decorativa», «antefissa», «frontone ornamentale», «statua». Tra le descrizioni si distingue, ad esempio, il frammento di una «statua raffigurante un giovinetto» con tracce di colore «rosso pompeiano» (Arch. VG, fondo SBAEM, giornale scavo 1969, fasc. 2). Essa fu ritrovata in corrispondenza dell'angolo sudovest dell'area non scavata, nel saggio che intercettava le fondazioni del tempio e della piattaforma di II fase. L'analisi sin qui condotta sui materiali del 1969Footnote 32 mi ha permesso di appurare la presenza di frammenti di terrecotte architettoniche, compresi frammenti di rilievo frontonale recanti traccia della originale policromia. Le terrecotte supportano l'identificazione del complesso con un edificio templare. Oltre a esse la campagna di scavo 1969 ha restituito frammenti ceramici, elementi in bronzo, vetro e metallo, marmi. Le terrecotte e le varie classi di materiali furono trovate in punti diversi del complesso; le descrizioni rese nei giornali di scavo non sono tuttavia sufficienti per un'attribuzione alle rispettive fasi edilizie qui identificate, il cui inquadramento cronologico è certamente complicato dall'assenza del dato stratigrafico. È stato quindi avviato uno studio sistematico sui materiali rinvenuti per definirne con accuratezza la cronologia e le attribuzioni.
Utile per un inquadramento cronologico è la ceramica a vernice nera trovata durante la campagna di scavo 1969. Il materiale fino ad ora analizzato è inquadrabile fra la seconda metà/fine del III secolo a.C. e la metà/fine del II secolo a.C.Footnote 33 L'esistenza di una fase medio e tardo repubblicana, i cui limiti si estendono appunto fra la seconda metà del III secolo a.C. e la fine del II secolo a.C., è ulteriormente avvalorata dal riconoscimento di un asse repubblicano in bronzo,Footnote 34 un aes grave Giano/prora, serie anonime, databile alla fine III secolo a.C.Footnote 35 Si segnala anche la presenza di un secondo esemplare, analogo per modulo, ma in pessimo stato di conservazione. Merita infine menzione una laminetta bronzea, intenzionalmente ripiegata in quattro parti, con verosimiglianza da ricondurre a un contesto votivo.
Fra il materiale elencato nei giornali di scavo vi sono frammenti di decorazione architettonica, fistulae ed elementi in marmo. Furono rinvenute anche delle epigrafi. Di maggiore interesse sono due frammenti di un architrave marmoreo recuperati nel 1970 (Arch. VG, fondo SBAEM, giornale scavo 1970, fols 27, 28 con disegni). Il disegno e la trascrizione dei testi riportati nel giornale di scavo mi permette di riconoscervi l'epigrafe CIL XI 3183.Footnote 36 Il testo di questa epigrafe è ricomposto da tre frammenti dei quali uno (a) già edito nel CIL, in quanto reimpiegato nel muro esterno dell'Abbazia di Santa Maria in Falleri; gli altri (b, c) provengono dallo scavo 1969–75 dell'Area 4 e furono riconosciuti da Ivan Di Stefano Manzella (Reference Di Stefano Manzella1981: n. 25, 146–8). L'iscrizione, databile all'età giulio-claudia e riconducibile a un edificio pubblico, riporta i nomi di due augustales (Laird, Reference Laird2015), con cognomina greci che ne suggeriscono lo status di liberti. La possibilità che gli augustales menzionati nell'architrave CIL XI 3183 possano aver contribuito a un restauro del tempio può essere presa in considerazione, anche in ragione del fatto che a Falerii Novi il coinvolgimento di magistri augustales in atti di evergetismo è attestato dall'epigrafe CIL XI 3083, datata alla tarda età augustea (2 a.C./14 d.C.) per l'attribuzione ad Augusto del titolo di pater patriae (Di Stefano Manzella, Reference Di Stefano Manzella1981, n. 10, 133–4). I frammenti provenienti dal saggio 1970 furono tuttavia probabilmente già riutilizzati in antico, come suggerisce la presenza di fratture su ogni lato del blocco e potrebbero quindi essere ex situ. L'effettiva attribuzione al contesto necessita dunque di ulteriori approfondimenti, anche in considerazione del citato reimpiego nell'adiacente Abbazia.
5.4 Fase III
Una serie di strutture in opus caementicium, identificano la macro-fase III (Fig. 8). Questi interventi, non tutti afferenti al medesimo ambito cronologico, circoscrivono una serie di restauri e modifiche intervenute nel corso dell'età imperiale, fino alla defunzionalizzazione del complesso. Il restauro che allo stato attuale delle ricerche è più chiaramente distinguibile interessa la creazione di un'aula nel portico meridionale. L'aula (6.70 x 13.40 m) era definita a est e ovest da due setti murari in opus caementicium di cui si conservano le fondazioni, a cavo libero. L'ingresso era inquadrato da due colonne o pilastri di cui pure si conservano le fondazioni in cementizio. Non si posseggono dati materiali per delimitare l'orizzonte cronologico di questo intervento, da porre tuttavia nell'ambito della continuità d'uso dello spazio sacro, in età imperiale.
5.5 Fase IV
Le fasi successive alla defunzionalizzazione del complesso templare videro un intervento sistematico di spoliazione e lo smontaggio degli alzati e parte delle fondazioni, che nel caso della piattaforma di II fase furono rimosse sino alla quota del piano stradale (Fig. 11). L'acquisizione di dati stratigrafici e il confronto con l'adiacente Area 1, il cui scavo sta mettendo in luce fasi di epoca tardoantica e altomedievale (Andrews et al., Reference Andrews, Bernard, Dodd and Kay2024), potranno chiarire la correlazione con l'intensa attività di spoliazione intercorsa con la fondazione cistercense del contiguo complesso di Santa Maria in Falleri (Illiano, Reference Illiano1989), edificato con materiale di riutilizzo in tufo e peperino, come pure con elementi di decorazione architettonica provenienti dalla spoglio di edifici di età romana.
6. CONSIDERAZIONI URBANISTICHE
L'identificazione del tempio repubblicano dell'insula XXXI permette di fare nuova luce sullo sviluppo urbanistico di Falerii Novi. I dati sin qui raccolti consentono di porre la sua edificazione in relazione con le prime fasi d'impianto urbano della città. I materiali databili tra la seconda metà/fine del III secolo a.C. e la metà/fine del II secolo a.C., attestano un orizzonte cronologico fino ad ora noto solo attraverso le fonti, che collocano la fondazione della città in età medio-repubblicana, successivamente alla conquista di Falerii Veteres nel 241 a.C. (cfr. nota 3). La ricerca permetterà di definire i limiti temporali delle fasi edilizie identificate. Allo stesso modo, se pure la lettura delle caratteristiche architettoniche dell'edificio, tanto nella fase più antica quanto in quella caratterizzata dal rialzamento di II fase dovranno necessariamente attendere la conclusione delle indagini archeologiche in corso e lo studio dei materiali, un tentativo di inquadramento urbanistico può essere proposto sulla base dei nuovi dati acquisiti. La monumentalità della ristrutturazione occorsa con la II fase edilizia, la centralità rispetto all'area urbana e la relazione diretta con il Foro supportano l'identificazione di questo tempio quale il principale luogo di culto dell'ambito urbano.Footnote 37 La realizzazione di un terrapieno artificiale, al fine di rialzare i livelli e creare una piattaforma monumentale, con doppia funzione di podio e terrazza, è la soluzione architettonica che più caratterizza il complesso di II fase. Nell’ager Faliscus questa stessa caratteristica strutturaleFootnote 38 è attestata nel santuario extraurbano di Celle a Falerii Veteres, che viene identificato con il Tempio di Giunone Curite.Footnote 39 La ricostruzione ancora largamente accettata, per la fase della seconda metà del IV secolo a.C., è quella proposta da Giovanni Colonna (Reference Colonna1985: 110–13, fig. 5.2): un tempio tuscanico (28 x 36 m) edificato su di un imponente terrapieno (28 x 50 m) in opera quadrata con blocchi di tufo locale. L'utilizzo di una soluzione strutturalmente analoga per il tempio principale della città nuova, insieme alla monumentalità delle sue forme, evocano un influsso diretto del predecessore falisco sul tempio di Falerii Novi (seppure si possa ancora dire poco circa la sua architettura). Un legame con il Santuario di Giunone Curite è suggerito per altro dall'esistenza, ancora in età imperiale, di una Via Sacra (CIL XI 3126)Footnote 40 che collegava il chalcidicum Footnote 41 della nuova Falerii con il lucus Iunonis Curritis. Footnote 42 Si è voluto identificare la Via Sacra di CIL XI 3126 con la via processionale descritta da Ovidio (Ov., Am. 3.13), testimonianza diretta della continuità del culto ancora agli inizi dell'età imperiale (infra). Di contro, il conservatorismo delle forme edilizie oltre i limiti della conquista romana non sorprende per l'ambito falisco, in ragione della ben consolidata tradizione nell'uso di architetture in tufo e della reperibilità in loco del materiale da costruzione.Footnote 43 Future indagini potranno appurare gli eventuali rapporti con le realtà santuariali di Falerii Veteres.
Sul piano urbanistico un aspetto si impone alla discussione. Il complesso sacro che si venne a creare con la II fase, inglobando i resti dell'edificio più antico, dovette necessariamente comportare un significativo stravolgimento nella percezione urbanistica dell'area centrale e del Foro. La riedificazione introduceva infatti nell'area urbana un edificio sacro di enorme impatto, con un tempio centrale inquadrato da portici e in posizione dominante rispetto alla piazza forense, che sovrastava grazie al già citato rialzamento di livello. In quest'ottica, se ci si sofferma sull'aspetto architettonico e dimensionale (42 x 62 m) colpiscono alcune analogie con il più noto Tempio di Giove Capitolino e le sue declinazioni, circostanza che merita una breve riflessione. Uno studio recente (Kaderka e Tucci, Reference Kaderka and Tucci2021) ha proposto di riconsiderare la colossalità del capitolium romano in favore di una piattaforma monumentale (54 x 62 m), con un’aedes tuscanica di dimensioni più contenute di quanto precedentemente proposto (Mura Sommella, Reference Mura Sommella1997–8; Reference Mura Sommella and Della Fina2009; Hopkins, Reference Hopkins, Camporeale, Dessales and Pizzo2010) e delimitata, almeno dal II secolo a.C., da portici. Esula dai limiti di questa discussione affrontare la complessità del Tempio Capitolino; si pone piuttosto all'attenzione l'osservazione, avanzata dagli autori, che dal II secolo a.C. in poi questa ipotizzata soluzione trovi riscontro in un certo numero di capitolia (o presunti tali) dell'Italia romana.Footnote 44 È innegabile, sul piano urbanistico, che il tempio monumentale di Falerii Novi intrattenga un rapporto topografico preferenziale con l'area forense e la viabilità extraurbana. Nell'orizzonte dell'Italia romana questo rientra nella casistica dei capitolia e templi forensi delimitati da portici e separati dal Foro dal tratto urbano di una via publica, coincidente con il principale asse stradale cittadino. Condividono questa peculiarità il cosiddetto capitolium di Luni (prima metà II secolo a.C.), prospicente la Via Aemilia Scauri/Aurelia (Rossignani, Reference Rossignani1995), il capitolium di Verona (seconda metà I secolo a.C.), sulla Via Postumnia (Cavalieri Manasse, Reference Cavalieri Manasse2008) o ancora il capitolium di Ostia, diviso dalla piazza dal decumanus maximus, proiezione intra-muranea della Via Ostiense (Morciano, Reference Morciano2012: 53–9).Footnote 45 Il confronto ostiense, che ci è tuttavia noto nella sua versione adrianea, è di grande interesse in quanto condivide con l'edificio di Falerii Novi la delimitazione del tempio con portici sui soli lati lunghi. I limiti e le difficoltà nell'identificazione di templi effettivamente assimilabili alla categoria dei capitolia sono largamente riconosciuti dalla critica contemporanea (Crawley Quinn e Wilson, Reference Crawley Quinn and Wilson2013), difficoltà che in questo caso specifico risultano complicate dall'assenza di certezze sullo status giuridico della città prima della municipalizzazione.Footnote 46 L'esistenza di un capitolium a Falerii Novi parrebbe essere supportata epigraficamenteFootnote 47 da una dedica collegiale in latino a Giove, Giunone e Minerva (CIL XI 3078), realizzata su una lamina in bronzo opistografa e databile su base paleografica alla seconda metà del II secolo a.C.Footnote 48 Precedenti indagini geofisiche (Keay et al., Reference Keay, Millett, Poppy, Robinson, Taylor and Terrenato2000: 11–14; Verdonck et al., Reference Verdonck, Launaro, Vermeulen and Millett2020: 711; Millett, Reference Millett and Launaro2024: 18) identificavano il capitolium di Falerii Novi nell'insula I, posta su un punto rialzato alla estremità occidentale della città, presso la porta ovest (cosiddetta Porta Giove). Questa inusuale posizione periferica trova un illustre confronto nel tempio sull’Arx della colonia latina di Cosa, la cui identificazione come capitolium (Brown, Richardson, Richardson, Reference Brown, Richardson and Richardson1960) è stata tuttavia messa in discussione (Bispham, Reference Bispham2006). Molti aspetti restano da chiarire, ma è interessante osservare che i due edifici templari, posti entrambi sulla traiettoria dell'asse urbano est–ovest (cosiddetto decumanus maximus), presentino dimensioni analoghe, pari a circa 23 x 32/34 m per il tempio dell'insula XXXI (Area 4) e circa 23 x 33 m per il tempio dell'insula I, stando ai risultati della geofisica.
Non sussistono al momento elementi sufficienti per supportare in via definitiva un tentativo d'identificazione della titolarità dell'area sacra. Sarà tuttavia utile, in conclusione di questa rassegna, vagliare il patrimonio epigrafico a nostra disposizione. Circoscrivendo l'analisi all'età repubblicana, all'orizzonte cronologico del II secolo a.C. appartengono la già citata lamina CIL XI 3078 con dedica alla triade capitolina e una lamina con dedica a Minerva (CIL XI 3081),Footnote 49 in scrittura sinistrorsa, posta «de zenatuo sententiad» dal praetor Cotena. Footnote 50 Entrambe furono – forse – rinvenute nei pressi della porta occidentale e dunque non lontano dall'insula I; non sono tuttavia del tutto chiare le circostanze del rinvenimento, nè è possibile accertare se esse furono rinvenute in situ, o escludere un loro spostamento rispetto a una diversa originaria collocazione.Footnote 51 Una dedica su un blocco in travertino rinvenuta negli scavi Poniatowski del 1821–3 documenta il culto di Apollo (CIL XI 3073).Footnote 52 L'epigrafe, verosimilmente reimpiegata in antico, si data su base paleografica tra la fine del II secolo a.C. e la prima metà del I secolo a.C. (Di Stefano Manzella, Reference Di Stefano Manzella1979: n. 25, 81–4; Reference Di Stefano Manzella1981: 113). La diffusione del culto di Apollo nell’ager Faliscus risale all'ambito falisco. La più antica attestazione epigrafica, datata al V secolo a.C., proviene dall'area sacra sul Colle Vignale di Falerii Veteres (Biella e Nonnis, Reference Biella and Nonnis2021: 250–1).Footnote 53 Il culto, nei connotati di Soranus Apollo (Di Stefano Manzella, Reference Di Stefano Manzella1992), ebbe forte continuità e rilievo ancora in età imperiale, come attestano le suggestive cerimonie descritte da Plinio (Plin., HN 7.19), che annualmente si svolgevano sul Monte Soratte, consacrato ad Apollo (Verg., Aen. 11.785–90).Footnote 54 Esisteva anche un tempio di Cerere, noto dall'epigrafe augustea CIL XI 3083 (Di Stefano Manzella, Reference Di Stefano Manzella1981: n. 10, 133–4), da considerarsi extraurbano se si dà credito a Vitruvio (Vitr., De arch. 1.7.2)Footnote 55 e un pontifex sacrarius di Iuno Quiritis/Curritis, attestato da epigrafi di I–II secolo d.C. (CIL XI 3125;Footnote 56 CIL XI 3100Footnote 57). La carica testimonia la sopravvivenza dell'antico culto falisco, ma potrebbe essere messa in relazione con il già citato santuario extraurbano di Celle (Frederiksen e Ward-Perkins, Reference Frederiksen and Ward-Perkins1957: 145–6). La titolarità di un culto comune al primigenio centro falisco è quantomai suggestiva, in quanto rivelatrice di un vincolo fortemente identitario tra le due realtà, sebbene la posizione topografica e i confronti sin qui istituiti indirizzino piuttosto verso l'identificazione di un capitolium, con tutte le difficoltà interpretative che questa categoria templare comporta. I dati disponibili non consentono, per ora, una identificazione puntuale.
Conclusioni
L'identificazione del tempio monumentale del Foro rappresenta un'importante scoperta per la conoscenza della Falerii Novi repubblicana e del suo sviluppo urbanistico. Il rigore dell'approccio metodologico nello studio dell'insula XXXI ha arricchito la ricerca con nuovi dati, rivelando altresì quanto fosse incompleta la percezione dell'ambito del sacro nella nuova Falerii. Il proseguimento delle indagini permetterà di acquisire quei dati utili a definire con accuratezza i limiti cronologici delle fasi già identificate e avanzare possibilità interpretative cruciali per rispondere alle domande ancora aperte circa la fondazione della città e il suo sviluppo urbano.
Acknowledgements
Questo studio non sarebbe stato possibile senza l'imprescindibile supporto della British School at Rome e dell'Università degli Studi di Firenze. La ricerca è realizzata nell'ambito del ‘Falerii Novi Project’, co-diretto dalla British School at Rome e le Università di Toronto e Harvard, su autorizzazione del Ministero della Cultura italiano (Decreto DG-ABAP n. 608 del 10/06/2021). Devo un ringraziamento alla cortese disponibilità della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l'Etruria Meridionale, ai direttori degli Istituti, ai funzionari e gli archivisti che hanno sopportato le mie ricerche: il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia; la Direzione Regionale Musei Lazio e il Museo Archeologico dell'Agro Falisco; l'Archivio Centrale dello Stato; la Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte in Roma; l'Aerofototeca Nazionale presso l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione; il Deutsches Archäologisches Institut Rom. Ringrazio il sig. Gianluca Mancini che ha gentilmente permesso l'accesso al sito e il Comune di Fabrica di Roma per la collaborazione logistica. L'elaborazione dei dati GPR e i rilievi topografici sono stati possibili grazie al supporto tecnico di Elena Pomar. Sono infine debitrice a coloro che hanno a vario titolo contribuito ad arricchire questa ricerca: Stephen Kay, Seth Bernard, Margaret Andrews, Emlyn Dodd, Martin Millett, Paolo Liverani, Frank Vermeulen, Janet DeLaine, Emanuela Spagnoli, Letizia Ceccarelli, Piergiuseppe Poleggi, Elizabeth Jane Shepherd, Christopher Siwicki.
ABBREVIAZIONI
- Arch. VG:
Archivio storico del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Roma
- BiASA:
Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte, Roma
- BSR:
British School at Rome
- c.d.s.:
in corso di stampa
- CIL:
Corpus Inscriptionum Latinarum
- DG-ABAP:
Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio
- EDR:
Epigraphic Database Roma http://www.edr-edr.it/
- FNP:
Falerii Novi Project
- SBAEM:
ex Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale, già Soprintendenza alle Antichità dell'Etruria Meridionale
- USM:
Unità Stratigrafica Muraria